domenica 4 ottobre 2009

Odissea, ovvero la 10 chilometri

Nella vita della gente capita che ci sia la prima Dieci Chilometri. Ecco, nella mia questo é successo stamattina e inspiegabilmente sono ancora viva per raccontarlo.
Mi alleno da meno di un anno, correndo un paio di volte alla settimana con l’entusiasmo della tartaruga Franklin: la bella tartaruga che cosa mangerà? Chi lo sa, chi lo sa? La tartaruga un tempo fu, un animale che correva a testa in giù, come un siluro filava via, che ti sembrava un treno sulla ferrovia. Ve la ricordate? Era di Lauzi e vi assicuro che non é una battuta, so che la mia cultura musicale vi lascia sempre senza parole, comunque poi la tartaruga si schianta contro ad un muro, ecco da dove viene tutta la mia prudenza.
Prima domanda: ma come diavolo mi viene in mente di partecipare ad una gara che si chiama Odissea? Il nome di per sè dovrebbe scoraggiare gli arditi, ma no, una buona dose di autolesionismo mi stimola alla sfida. Ma perché dico io? Ma non posso andare a mangiare un gelato come tutti gli altri? No, perché a Parigi il gelato fa schifo. Sfogliare le margherite al parco domandando Piove domani o Piove martedi? Come se ci fosse qualche dubbio sulla risposta: piove tutti e due i giorni, evidente domanda trabocchetto. E perché no, andare alla ricerca di un museo chiuso per sciopero? Questo no, perché l’incarico terminerebbe dopo pochi istanti data la proverbiale propensione del francese allo sciopero. Quindi si va a correre punto e basta. Alza il sedere da quel divano e vai a consumare le calorie in eccesso che si accumulano in modo evidente sul tuo corpo. Anche perchè la vera ragione della corsa è decisamente più motivante: la raccolta di fondi per la ricerca contro il cancro al seno. Quindi non ci sono scuse che tengano. Metti le nike e fuori dal letto.
Questa settimana sono andata un paio di volte ad allenarmi affrontando i dieci chilometri, proprio per non dover ricorrere alla croce rossa dopo i primi tre durante la manifestazione e mi rendo conto che la mia velocità é pari a quella di Nonna Abelarda mentre guarda una vetrina, certo che correre dovendo aspettare che il semaforo diventi verde non é proprio il massimo, ma almeno queste brevi e sporadiche soste mi lasciano il tempo di abbassare le pulsazioni da 234 a 205.
Insomma quando la sveglia suona alle sette io sono già con l’occhio pallato da almeno mezz’ora, agitata come una bertuccia in gabbia. Ma sei scema? Ma guarda che non è che devi arrivare prima, devi solo arrivare in fondo in modo dignitoso, ti agiti per cosa? Non lo so, lo spirito d’avventura, l’affrontare una cosa nuova e poi é bello essere agitati dai: passami la bottiglia dei fiori di Bach che mi faccio un cicchetto prima di partire, ma non é che mi fanno il test antidoping magari e mi squalificano? Vai vah...
(Star di TF1, il presentatore del TG!)
Insomma alle otto e trenta sono al punto di raduno con alcune colleghe e sia ringraziato il cielo scopro che non correro’ da sola, Veronique, Brigitte e Agnès correranno con me. Alle nove facciamo quindici minuti di riscaldamento con la musica prodotta da un gruppo di ragazze che suonano strumenti a percussione con un ritmo decisamente stimolante. Dopo cinque minuti sono già stanca e sento che questo sforzo gratuito mi toglierà le energie per affrontare l’ultimo chilometro. Quindi mi muovo ma senza troppa convizione, un po’ come fare ginnastica in playback, stacco appena i
piedi dal suolo, muovo le braccia come Cecchetto, ma i piedi rimangono saldi al suolo, minimizzazione dello spreco energetico, un po’ come la Marini che si esibisce al Bagaglino.
Ho anche un microchip nella scarpa che segnalerà il mio tempo, mi sento superprofessionale con questo aggeggio tecnologico, ma soprattutto per la prima volta, sapro’ quanto diavolo ci metto per coprire la distanza visto che quando lo faccio da sola non sono sicura nè dello spazio nè del tempo, il cardiofrequenzimetro la maggior parte delle volte mi dice che il mio cuore non ha battito, praticamente una salma in movimento, sono morta e non lo so. Certo che un controller che non é sicuro dei numeri suscita qualche perplessità, lo ammetto.
Ore nove e trenta, si parte. Siamo più di cinquemila e noi di certo non siamo tra le prime. Dopo i primi cinquecento metri, sono attonita e incredula ma.... MI SCAPPA LA PIPI’. Ma noooooo! Ma non bevo da una settimana come in India per non avere stimoli, ma come é possibile? Come faccio a fare i restanti nove chilometri e mezzo? Ho un’idea: posso sudare tanto, mettermi a piangere, soffiare il naso e favorire l’uscita di liquidi da altre parti, sono astuta come una faina, ora mi sforzo, ma non troppo perché se no me la faccio addosso.
Al chilometro due perdiamo Brigitte e Agnès che sono un pochino più lente mentre Veronique ed io procediamo allo stesso ritmo. Veronique comincia a parlarmi, dice che il buon ritmo di corsa si misura da questo, devi poter fare conversazione. Ora, detto a me che normalmente bisogna spararmi per farmi star zitta, parrebbe ridondante, ma in questa occasione mi sento molto meno portata allo scambio vocale del solito. Quindi mi limito a brevi risposte, tipo oui, non, clairment, pas vraiment, mais c’est sure, con il timore che una parola di troppo mi liberi la vescique.
Al chilometro tre, mi entra un pezzettino di legno nella scarpa da tennis, che si piazza sul dorso del piede destro, proprio sotto la caviglia, incastrato nella calza e trattenuto dalla stringa che ad ogni passo mi si conficca nella carne, ma non ci si puo’ fermare, chi si ferma é perduto. Quindi stoica procedo, all’arrivo avro’ le stigmate per questo mio sacrificio doloroso.
Chilometro cinque, c’é un area di ristoro, ma no! Non l’autogrill, pero’ si distribuiscono acqua, frutta secca e biscottini. Ancora adesso mi chiedo cosa mi abbia trattenuto dall’avvicinarmi, forse la folla di cavallette impazzite che ho visto gettarsi sulle prugne secche (ma cosa succede come conseguenza fra dieci minuti? Turche a go go nascoste nel bosco? É per ridurre il numero dei concorrenti?) o i simpatici burloni che si sono lanciati bicchieri d’acqua addosso pensando si trattasse di una gara di gavettoni o il bambino prodigio sorpreso a sbocconcellare la galletta al cioccolato e poi a rimetterla dentro al piattino mescolando per nascondere il misfatto... Insomma, come il bacio del crocifisso in processione diffondeva la peste a Milano, cosi l’accalappiamento della cacahuète diffonde la Grippe Porcine a Vincennes, stasera tutti a casa infetti e da domani caccia all’untore.
Al chilometro sei, dal mio mp3, fedele compagno di mille avventure, parte una canzone che dice: “I need a miracle”, lo so, é un segno del cielo, anche lassù sanno che sto per stramazzare al suolo, tra l’altro sempre con riferimento al concetto di numero, sono quasi certa che questa tappa non sia di mille metri, mi sembra che la distanza tra il sesto e il settimo sia almeno di duemilacinquecento, potrei scommetterci. Lo fanno apposta, mettono delle tappe diseguali, per confonderti, per farti ritirare, infami. Ma noi non si cede. The show must go on.
Chilometro otto, perdo Veronique, che correndo a bordo strada costeggiando il parco, viene catturata da un nuvola di polvere sollevata da quelli che sono davanti a lei. Io sono a favore dell’asfalto, anche se so che cio’ avrà delle conseguenze irreparabili sulla mia schiena quando saro’ in casa di cura fra qualche anno e la dieci chilometri la faro’ con la gamba di legno a cavallo di una carrozzella.
Chilometro nove. Qualcuno afferma che stamattina prima di partire io abbia dichiarato: dall’ottavo chilometro tiro come una pazza? Ma siete proprio sicuri che l’abbia detto io? No, perché guarda che non c’ero mi sa, stavo guardando lo stand di Dior (giuro che c’era lo stand di Dior e non dite che sono andata per quello perché non lo sapevo e poi non avevano neanche una borsetta o un foulard). Ma no, ho detto che all’ottavo tiravo a campare, non avete capito. Insomma al nono ho le visioni, vedo i sette nani: Rotolo, Tombolo, Strangolo, Soffoco, Rantolo, Rincorrilo e Ricoveralo. Mi appare anche Bolt, travestito da detersivo forse con esplicito riferimento allo stato della mia chicchissima maglietta rosa Odissea ormai fucsia di sudore, mi sembra che il traguardo si allontani invece di avvicinarsi, ho anche visto la striscia della mezzeria sulla quale corro per non perdere l’orientamento stortarsi a onda, fare un fiocco e andare su e giù tipo parabola per allungare la strada. Ne sono certa. Devo smetterla con i biscotti al burro per colazione, sono allucinogeni.
1 ora 6 minuti 2 secondi, tempo di arrivo. Una vera chiavica. Presto scopriro’ la mia posizione in classifica, mi basta essere tra i primi tremila, minima pretesa. La graduatoria nelle prossime comunicazioni.
Ci ritroviamo tutte al punto di partenza soddisfatte e sorridenti, un veloce giro di shopping allo stand dell’organizzazione (le vere professioniste del portafoglio si vedono in questi momenti), tanto più che tutto quello che spenderemo andrà in beneficienza, quale migliore giustificazione? E dopo un giro di tartine siamo pronte per tornare a casa. Ovviamente di corsa..... come? Non é vero? Miscredenti. Eh? Mi spunta il biglietto del metro dalla tasca? Chi? Eh? Scusa mi suona il telefono e poi avevo il vibracall e non ho sentito, si il cane mi ha mangiato il compito.... clic.

4 commenti:

  1. cronaca bellissima, sento la fatica della corsa.......ma la pipì???????

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  2. Ovviamente mi é passato tutto appena tagliato il traguardo... la legge di Murphy.

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  3. Sei geniale! Non smettere mai di scrivere! Ogni mattina passo di qua per leggere i tuoi racconti tragicomici! Un bacio da Udine. Marzia

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  4. Hey Wonderwoman dì la verità....sei arrivata al traguardo per lo stand Dior e per poter ancora accappararti qualcosina prima delle 5000 altre persone....addict ti ha rapita e fatto ingranare la quinta!!!!;-)))
    Paola

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