venerdì 27 maggio 2011

Cazza la randa

"Nadia, che ne dici di venire con noi a fare due fine settimana di scuola di barca a vela? “. Non so sotto l’effetto di quale sostanza stupefacente fossi, ma a questa domanda ho risposto “Si”. Inesorabilmente si. Mi pare di ricordare che si trattasse di una domenica pomeriggio, in montagna, in mezzo alla neve, dotata di stivali con suola di cuoio, decisamente perfetti per la neve appunto e non avevo ancora digerito un chilo di polenta concia, andata giù con un bel po’ di vino rosso sanguigno. Comunque, inutile stare a rimuginare, alcune settimane dopo sono in auto con Simonetta e Monica in direzione Porto Venere.
Ad un certo punto, Simonetta, la vera ideatrice di questo progetto, esordisce dicendo: “Ma cosa cavolo mi è venuto in mAllinea a destraente di andare a fare questa cosa?”, magari non proprio con le stesse parole. Monica ed io ci guardiamo disperate: lei era quella motivata, noi stiamo solo cercando di capire se la pioggia smetterà di scendere e come saranno due giorni a dormire nel sacco a pelo a mollo. Così non va bene, è lei che deve motivare noi e non viceversa. Comunque arriviamo a Spezia a recuperare Stefano in stazione, puntuali come orologi e dopo soli venti minuti di strada, un sacchetto di patatine bisunte e la discesa con più curve del mondo direzione porto, parcheggiamo e scendiamo alla ricerca di Alessandro, lo skipper Capo con il quale abbiamo tenuto i contatti fino a quel momento e che ci sta aspettando.
Decidiamo di andare a mangiare per prima cosa, perché come sempre siamo un gruppo di simpatici anoressici, la cui priorità è sempre e solo alimentare. Incontriamo Alessandro al ristorante e per fortuna non assomiglia a capitan Findus, sembra simpatico. Vediamo se è solo l’apparenza o se si trasformerà in un incubo domani mattina. Finita la cena ci avviciniamo al porticciolo e le barche sono numerosissime, cerchiamo quelle con la bandierina Horca Myseria per capire dove dormiremo e ci appaiono tre barche a vela di tutto rispetto di fianco a tre barchini in miniatura. Bello dico! Queste sono proprio belle! Anche Monica e Simonetta sorridono rinfrancate alla vista dei velieri. Ma Stefano ci riporta subito alla realtà. “Guardate che sono questi qui!”. Quali? I tre barchini che avevamo fatto finta di non vedere. No, non è possibile, non ci staremo mai in quattro li dentro. Ora risalgo in macchina e torno a casa. Ci guardiamo disperate, tra l’altro sono “parcheggiate a pacchetto”, ovvero una attaccata all’altra, ma solo la prima attaccata al molo. Bisogna essere gazzelle per passare da una all’altra e pipistrelli per passarci di notte, perché non sono illuminate, buio pesto. Non ce la faremo mai, cadremo in acqua senza speranza, infilandoci tra una barca e l’altra. Alessandro, probabilmente conscio del pericolo che corre, ci lascia dormire nella prima barca, così riusciamo a calare i sacchi a pelo e i bagagli con un passaggio di mano in mano. Sembriamo i Sette Nani in miniera e staremo tutti insieme. La prima sera si consuma velocemente anche perché è già molto tardi e ci limitiamo a studiare i compagni di barca. Alla fine andiamo a letto alle tre tra una cosa e un’altra! Ma come è possibile? Non vado a letto alle tre neanche a capodanno. Letto poi. Ci infiliamo nei sacchi a pelo come delle mummie egiziane e da quel momento non possiamo più nemmeno voltarci, lo spazio a disposizione non lo consente. Per coerenza incrociamo le braccia sul petto con scettro heka appoggiato.
La mattina successiva, comincia con una colazione importante, ma solo con il fine di socializzare, Anna e Federico per socializzare ancora di più si fanno fuori due brioches a testa, una cioccolato e una nutella per restare in tema, Paola una fetta di focaccia perché siamo in Liguria, io e Simonetta brioches alla marmellata perché siamo a dieta e ci vuole la frutta. Segue la spesa per la cambusa, nuova parola che apprendo, riusciamo però a mandare fuori di senno la commessa sessantenne del Conad, perché le chiediamo di affettare 2kg di prosciutto, aprire 12 panini, 12 focacce e di dividere tutto in tre sacchetti, e pensare che si tratta di un multiplo, non dovrebbe neanche essere difficile, ma il fatto che lo scontrino sia uno solo la fa entrare in crisi quindi Stefano accetta di appiccicarselo in fronte e di passare lui allo scanner per toglierla dall’impiccio.
Segue a questo punto il momento di teoria e scopriamo che anche in questo settore ci sono dogmi, presto scopriremo che sono molti di più di quello che pensiamo. La cosa inquietante è che incontriamo un uomo di cui sono convinta di avere già visto la faccia, che ci saluta cordiale con un accento fortemente romano, che contrasta non poco con la località ligure. Di colpo in tre capiamo dove lo abbiamo visto: sopra la nostra testa in cabina stanotte. C’era la foto di un uomo appiccicata sopra la nostra testa con scritto: Ubaldo vi vede sempre! Sembrava una campagna elettorale! E’ lui! E’ Ubaldo! Sorvegliante del porto!! E scopriamo che l’adesivo è uno scherzo dei suoi compagni skipper. Ci fa un po’ di battute da farci sbellicare e spera di rivederci la sera… è di sicuro di buon auspicio questo augurio.
Dogma: sapere sempre da dove soffia il vento. Capiamo che il vento è importante, la prima domanda è: da che parte viene il vento? E come si fa a capire da che parte viene? Francamente facce allucinate guardano i 3 skipper. E che diamine ne sappiamo? Succhiare un dito ed esporlo all’aria? Guardare un capello strappato al vicino? Buttare per aria un fazzoletto di carta? Non ci abbiamo preso neppure stavolta, basta guardare le bandierine appese all’albero di barche ferme. E chi ci aveva pensato? Ma se la barca va? Restiamo con questo dubbio e una riposta che ha che fare con il fischio nelle orecchie, ma nessuno di noi in grado di capire, prova sul campo ci dicono. Bene, dopo un’ora di teoria in cui capiamo o perlomeno facciamo finta di avere capito cosa è la bolina, cosa il traverso, cosa il lasco (Johnny Lasco, non era il titolo di un film?), ci viene detto che esiste anche il punto morto. Io mi sento subito triste, perché godere di un week end quando qualcuno è trapassato mi pare poco gentile, ma mi hanno detto che non ha sofferto.
Skipper Alberto ci dice: “ Forza, dobbiamo armare la barca”. Cosa? Ma io mi rifiuto, sono pacifista, con voi non vengo! Mi spiegano cosa vuole dire, comincio mesta a cercare di capire cosa vogliono che faccia. Tra l’altro, skipper Alessandro, detto anche Gran Visir di tutti gli Skipper, ci comunica che a bordo ci sono 5 animali e che dobbiamo trovarli durante i due fine settimana. Sarà un dogma anche questo? Mah. E comincia a darci ordini che sono per me assolutamente incomprensibili: liberate le scotte. Eh? C’è a bordo un movimento di scarcerazione di pasta troppo cotta? Ma che bello! No, non ho capito. Tirate fuori il fiocco e la randa per favore. Come scusa? Ma un fiocco non si confeziona come una bella galla? La randa? Randa lo dirai a tua sorella. Anche stavolta non ho capito. Ma la frase chiave è: Incoccia la bugna nel capra. Ma come cazzo parli???? Punto 1: capra è femminile! E punto 2, NON HO CAPITO UNA MAZZA!!
Insomma non so come, riusciamo ad issare le vele, e a partire. Chi è il primo a stare al timone? Ma stai scherzando vero? Sono qui, con il mio giubbino salvagente, affascinante come l’omino Michelin, a momenti non so neppure cosa è un timone, se ci muoviamo cadiamo e tocca a me? Ma non se ne parla neppure. Dopo due minuti sono al timone, si vede che ho leadership, solo che il mio primo skipper è Alberto, che è uscito per errore dal film, Platoon e con grande incoscienza, non solo mi molla in mano il timone, ma pure la scotta della randa. Eh? Cosa è la scotta? Ricordamelo un attimo? Ah si ‘sta corda che ho in mano, che pare essere l’acceleratore o il freno. Mah, sarà… ma perché scotta? Ahia! Ah ecco ho capito, mi sono bruciata. Io comunque faccio fatica a fare una cosa per volta, figuriamoci due.
Ad un certo punto una raffica di vento fa partire la barca a manetta (che termini tecnici. Non so se notate) e la barca si inclina a 45° , io sto per svenire e Alberto mi chiede: “ con che andatura stai andando?” Con quella di una che ha la dissenteria e cerca un bagno! Ma che domanda è??? Ma che diamine ne so?? Capisco che è la bolina. Anzi, non è che lo capisco, me lo dice lui. Cerca il punto morto, mi dice. Come scusa? Non mi interessa, non lo conosco, rispettiamo il suo dolore, il suo momento di nulla. Cerca il punto moooooorto!! Oh mamma mia, ma dove è? A destra? Noooooooooo!! Non si dice destra, si dice dritta. Ma porca miseria ma perché in questo diavolo di barchino niente si chiama come sulla terra ferma? Ma allora volete proprio complicarci la vita! Non posso farcela. La barca è ormai quasi orizzontale al mare, quelli che sono in barca con me stanno chiamando i parenti per l’ultimo saluto, io ho perso 20 capelli e Alberto mi dice: cazza la randa! Questa l’avevo già sentita in effetti, è la frase più celebre del mondo della barca, peccato non avere la più pallida idea di cosa debba fare. Mi rendo conto che il tema dell’incomunicabilità è un tema importante. Qualunque cosa Alberto mi dica, non ha per me alcun significato. Lasca il fiocco! Cazza la randa! Molla quella scotta e passa sottovento. Ora scoppio a piangere. Anche il pianto in barca avrà un nome diverso? Ma quando tocca ad un altro? Insomma dopo una mezzora di terrore per fortuna il timone passa ad un altro. Ed io posso meditare, mi hanno assegnato al fiocco. Boh. Chissà cosa vuol dire, mi hanno detto anche “usa il winch”, sarà una di quelle belle ragazzine dei cartoni animati in cui ognuna ha un vestito di colori diversi? Winch, winxs, quelle no? E cosa le chiedo di fare? Rimah.
Insomma per fortuna dopo un po’ tutte e tre le barchine si riuniscono per la pausa pranzo e dopo esserci disposti a pacchetto mangiamo. Disporsi a pacchetto vuol dire stare vicini vicini, manovra che riesce dopo esserci lanciati delle cime (non si chiamano corde) da una barca all’altra possibilmente bagnate e sulla testa. C’è però lo sfigato del gruppo che deve agguantare la trappa, di solito capita ad Anna, siciliana doc, che la chiama THRAPPA, con trh alla siciliana. Ovvero la cima attaccata ad un quadrato di cemento in fondo al mare che è ricoperta di cozze, vongole e alghe disgustose. E’ proprio bello andare in barca a vela. Natura pura. Dopo pranzo si riparte e alla fine il momento più rilassante è l’aperitivo da Giuliano a Porto Venere, dove con l’alcool noi marinai cerchiamo di dimenticare cosa abbiamo fatto e gli skipper cercano di ricordare cosa li ha convinti a tenere corsi di primo mare per provetti barca velisti.
Dopo una doccia nei lussuosi bagni della marina, essere in India in una guest house da 2 euro a notte fa più o meno lo stesso effetto, andiamo a cena tutti insieme. Ma neanche andare in bagno è cosa facile, per aprire la porta bisogna conoscere il codice, quindi non solo devi portarti tutto il fabbisogno in un sacchetto di plastica per non bagnare ogni cosa e per non prendere il tetano, ma devi anche fare esercizi di memoria per non rimanere chiuso fuori. Come se già la nostra vita fosse facile.
La cena scorre via veloce, tra una fetta di focaccia e un piatto di lasagne al pesto, due cozze fritte, una salsiccia al forno, le acciughe con i crostini, la zuppa di pesce, un bicchiere di vino e tiriamo le due anche stavolta. Ormai si è creata confidenza con tra compagni di corso, in vino veritas e la strizza del pomeriggio ci ha uniti tutti quanti. Riusciamo comunque ad andare a letto e alle 7 e mezza di nuovo tutti in piedi. Un’altra ora di teoria e poi pronti a salpare, ormai oggi dimostriamo una certa padronanza, forse mi sto un po’ allargando. Cambio equipaggio e cambio skipper e via per una nuova avventura. “Passa la cima nel grillo”. Come? Ma miseria ladra, adesso che ho imparato due parole me ne tiri fuori già di nuove? Però così abbiamo trovato due nuovi animali: il capra e il grillo. Sarà la grillo? Sai mai.
Insomma anche la seconda giornata scorre via veloce e alle 5 torniamo in porto. Disarmate la barca. E qui non capisco lo sbattimento. Ma come, abbiamo tanto faticato ieri per montare tutto ed oggi tiriamo giù tutto? Ma non è fatica inutile? Ovviamente vengo cazziata come la randa per questa imprudente affermazione, ah no, randa è cazzata, non cazziata! Io avrei incartato nel domo pack le vele o nella pellicola e per me erano pronte per la settimana successiva, ma invece niente, bisogna smontare per non rovinare e rimontare tutto la prossima settimana, lo fanno anche per noi. Impariamo meglio! Te possino… Comunque smontato tutto, ops, disarmato disarmato! Ho capito. Solito ape da Giuliano e poi siamo pronti a tornare alle nostre vite, piuttosto gasati però, perché il giorno due è andato decisamente meglio! Un pochino padroneggiavamo il mezzo!
La seconda settimana però abbiamo preso più confidenza! Io scendo con un litro e mezzo di limoncello home made, tasso alcolico della vodka russa in inverno e una crostata ancora calda di forno e Anna, con un muffin al cioccolato da volar via! La serata comincia con un momento di socializzazione in barca a testare il limoncello! E anche lì, tiriamo le tre. Abbiamo capito, la prima sera non si riesce ad andare a letto prima e poi pronti per infilarci nei sacchi a pelo e confondere i quattro russamenti sotto coperta. E spendere appunto russando le 4 ore che mancano ad alzarci, solita posizione mummia, ormai dormiamo così anche a casa nel matrimoniale.
Ce la faremo anche stavolta! La prima giornata dobbiamo fare un percorso tra strambate e virate e dopo i primi cinque minuti di panico ormai padroneggiamo il barchino. Ad un certo punto però ci accorgiamo che ci sono un sacco di barche a vela intorno a noi! Ma che bello! Ma che belle! Ma come vanno forte! Ma che bravi! Al terzo insulto proveniente dai velisti intorno, capiamo che stiamo attraversando una regata. Se non ci hanno ucciso è un vero miracolo, è stata solo grande cortesia e solo perché in effetti ci siamo accorti quasi subito che stavamo attraversando una gara. Però la regata non era segnalata bene! Ci fermiamo per il solito pranzetto in mare aperto, solo che ci sono onde tipo tzunami e i barchini sbatacchiano uno contro l’altro. Ci viene spiegato un nuovo dogma: “barca ferma non si governa”, in realtà noi non la governiamo neppure in movimento, ma questa è un’altra storia! In ogni caso nonostante vento, onde e varie riusciamo senza difficoltà a spalmare la maionese sulla focaccia e a passarci di barca in barca un bicchiere di prosecco più crostata e muffin!! Quando si tratta di cibo sappiamo sempre cosa fare! E’ strano, è proprio istinto marinaro.
Anche la prima giornata volge al termine e raggiungiamo Marina di Fezzano, un posto davvero carino dove i bagni sono degni di tal nome e riusciamo a farci una vera doccia senza prendere strane malattie. Il momento igienico è ovviamente preceduto da un aperitivo all’aperto all’inseguimento di oche libere, che tentiamo di portare in barca per dare un’identità al terzo animale, ma con noi non vogliono venire. Anzi si tratta del quinto animale, perché il terzo lo abbiamo scoperto, è il pappagallo, che in realtà è un normale attrezzo di lavoro, ma essendo sul barchino assume una nuova dignità. E il quarto il ragno. Che schifo eh? Il ragno tiene la randa. Ma quante ne so adesso? Certo che il quinto proprio non si trova. Non sono stati ammessi al concorso:
Il maiale, se lo skipper è a bordo (suggerito da un amico skipper)
Il cavallo, dei pantaloni dello skipper (suggerito sempre da amico skipper)
L’armadillo, ovvero interpretazione dell’amantiglio, che ancora non ho capito a cosa serve
Leoncini, il cognome dello skipper
Insomma, non ci passano mai niente come valido, anche loro sono intransigenti e pignoli.
Comunque anche questa seconda cena termina con una camminata. Ebbene si, perché mi sono dimenticata di dirvi che anche il primo sabato, Capitano Alessandro, con la scusa della visita di Porto Venere prima e con quella di Marina di Fezzano poi, ci obbliga ad una camminata notturna in salita, su gradini scoscesi, senza luci, se non i dorsi illuminati delle lucciole, che però non possiamo portare in barca come quinto animale. Secondo noi, vuole provare a decimare la squadra, teoria darwiniana, se qualcuno si schianta in camminata, non dovrà portarlo in barca il giorno dopo. Ma noi sembriamo delle capre tibetane, nonostante tutto riusciamo a non farci male e a tornare in barca, sarà la forza del limoncello che ci guida, o meglio l’aspettativa del limoncello che si attende sul barchino, perché dopo il limoncello non solo non saremmo riusciti a scendere, ma di sicuro manco a salire.
Arrivati al porto, condividiamo la diabolica bevanda gialla anche con altri velisti, e ne stendiamo un paio, perché noi ormai siamo assuefatti, gli altri non sono preparati a quel tasso alcolico!! All’ultimo gradino della discesa però scopriamo il quindi animale, è un gioco di parole, veramente da bastardi! Navigazione a FARFALLA! Ovvero quando fiocco e randa non sono girati dalla stessa parte (lo so perfettamente che non si dice così, ma non sono in grado di spiegarlo in nessun altro modo!).
Siamo arrivati all’ultima domenica! Che vola via in fretta, ci tocca di nuovo disarmare la barca, ma ormai siamo espertissimi. L’unico momento di difficoltà è la lettura fatta con Paola dell’elenco delle cose da controllare prima di lasciare la barca. Fantastico, basta leggere, verificare e spuntare, peccato che già alla prima frase non capiamo cosa c’è scritto e quindi non siamo in grado di procedere senza chiamare skipper Alessandro Marte!! Non conosciamo i nomi delle cose sottocoperta da verificare….
Nel giro di pochissimo comunque siamo pronti per l’aperitivo da Giuliano come al solito. Siamo un gruppo di alcolisti anonimi, non di velisti conosciuti! Doniamo ai nostri fantastici skipper delle magliette autografate che loro educatamente hanno il coraggio di provare e il primo numero del giornalino di bordo! Non sapremo navigare, ma Paola ed io in quanto a cazzate creative siamo imbattibili, lei come scrittore io come fotografo, correttore di bozze! Un po’ di malinconia perché stavolta non ci attende un week end successivo e siamo pronti a rientrare nella città tentacolare, ma già motivati per la prossima avventura! Grazie per questi due bellissimi fine settimana a tutti loro:
Anna detta Thrappa: siciliana doc, parla in siciliano, sembra di avere in barca Giovanni Verga, cucina da dio, il suo punto di forza è l’attitudine al sogno: quando la barca si inclina, lei chiude gli occhi, anche se la barca la sta conducendo lei!
Federico detto Panda: è salito in barca e già aveva il segno degli occhiali, pensiamo sia nato così ma non glielo abbiamo chiesto per educazione, ed è peggiorato dopo due fine settimana. In ogni caso è nato per navigare, capisce i comandi e sa gestire randa e timone contemporaneamente, decisamente molto più avanti di noi, un fuoriclasse. Per essere più avanti di noi ci vuole pochissimo in effetti, credo abbia guidato un salvagente a 3 anni per avvantaggiarsi.
Simonetta detta Fiocco: lei ha una forma di anarchia, vuole gestire solo il fiocco, la randa non le piace e il timone neppure, in fondo, siamo in regime di democrazia, possiamo scegliere, secondo me, vuole testare i guantini di renna del Decathlon, davvero chic.
Stefano detto Trivella: anche lui nato con la vela sulla schiena, peccato che nei momenti di relax, la gola lo tradisca, dopo aver fatto fuori, crostata e muffin decide che non ha finito, tira fuori un pacchetto di gran cereale e comincia a trivellare il barattolo di nutella. Vergognoso.
Silvana detta Manuale: riconosce ogni barca da 500 metri di distanza, sa i nomi di tutti i venti, sa leggere una bussola, sa leggere una cartina! E’ l’unica di noi che ha studiato e ha una barca! Ma la vera domanda è: cosa ci facevamo noi in barca con lei poverina?
Terry detta Ematoma: sale in barca al giorno 1 e si fa un ematoma grande come l’Africa! Ma non versa neppure una lacrima, perché in barca con noi ci sono solo eroi!
Monica detta Randa: anche lei già al giorno 1 sembra nata con il timone in mano, una nasce portata! Per fortuna ci sono anche donne a tenere alto l’onore di questo equipaggio, skippa una boa a pochi centimetri come se facesse uno slalom gigante.
Paola detta Guthemberg: sono salita in barca ed è stato subito amore! Due donne una penna ed un computer, gran visir del cazzeggio e della scrittura! Rientrate a Milano e invece di lavorare sembriamo la pubblicità della Costa Crociere, piangiamo di disperazione e scriviamo cazzate per dimenticare e tirare il prossimo giro!
E per finire, un grazie a
Martino detto Cayard: ci guarda disarmato disarmare e medita a lungo sulle sue scelte di vita: ma chi me l’ha fatto fare di portare in giro questi qui?
Alessandro detto Marte: la pazienza di un frate, la gentilezza di San Francesco, rientrato a Firenze ha dato le dimissioni da Horca Miserya.
Alberto detto Platoon: ha voluto farci gestire la scotta della randa insieme al timone il primo giorno. Ha ignorato il pericolo che ha corso, se fosse stato un gatto, di vite se ne sarebbe giocate 3, una per ogni membro del suo equipaggio.
Alessandro detto Capitano: ci ha tollerato per tutti e quattro i giorni. Al rientro a Pontedera ha preso i voti presso i carmelitani scalzi (lui scalzo lo era spesso, dovevamo capire già da lì la vocazione) ed ha abbandonato la vela per sempre.
Nadia detta Limonc’è.

3 commenti:

  1. Che ridere Nadia... uno spasso.
    Io adoro andare in barca a vela anche se ogni volta che boliniamo e la barca si inclina mi prende un filo d'ansia... la poppa mi sembra stabile e invece mi dicono sia la cosa peggiore...
    Come vedi non ci capisco un H nemmeno io.
    Bacione

    RispondiElimina
  2. Nadia. grazie per questo fantastico reportage che mi riporta alle emozioni di quei giorni. Sono certa di non essere la prima a riconoscerti una vera dote giornalistica. Hai ben descritto e fotografato le immagini di noi aspiranti marinaretti, ispirati ed attratti da un genuino fascino del mare ed animati dalla voglia di stare insieme, tra sconosciuti (estranei solo per un nanosecondo). Un abbraccio e alla prossima avventura. Sono certa che ci sarà. Silvana

    RispondiElimina

Commenti: