domenica 30 agosto 2009

L’India senza ridere

Fino ad oggi abbiamo riso sull’India e sulle cose che mi sono successe e che ho vissuto, perché lo sappiamo, fa parte del rito e del gioco, ma c’é anche una parte di questa meravigliosa esperienza che voglio condividere con voi e che tanto ridere non fa. Quindici giorni non cambiano la vita, ma a volte fanno cambiare il tuo pensiero, il tuo modo di vedere le cose perché sei li immerso in quella realtà, vivi la loro vita, non vivi la tua o almeno ci provi ed é normale che la tua prospettiva sia diversa, perché é diverso il punto di partenza. E allora provo a raccontarvi l’India attraverso gli occhi dei miei ragazzi.
Penso a Ranjini, che con il suo viso affilato e triste ci chiede come potrebbe ingrassare qualche chilo perché le donne come lei in India non sono troppo apprezzate, che lei ci ha provato a mettere su qualche chilo, ma non ci riesce proprio. Che le diciamo? Che Florence ed io siamo in perenne lotta con la bilancia? Che da dove veniamo noi una modella anoressica é il sogno di ogni ragazzina e pure di qualcuna che tanto ragazzina più non é? Oppure ascolto Jenith Eshuan e il suo sogno di studiare a Cambridge. Lui ha 17 anni e ha dovuto sospendere il college per un po’ perché la sua famiglia ha avuto problemi economici, pero’ quest’autunno ricomincia cosi riesce a rimettersi in pari. Parla un inglese che mi ci vuole un traduttore turco per capirlo eppure la sua curiosità di sapere é evidente, cosa é la crisi economica? E perché le banche sono fallite? Mi spieghi come funziona la borsa? Accidenti, domandine cosi, da risposta davanti ad un tchai... Mi dice che vuole fare l’ingegnere e che un giorno verrà in Italia, perché é una città piena di storia e vuole vedere il Colosseo. E poi c’é Kasturi, che ha 29 anni, la più grande della classe, la più timida, la più silenziosa, eppure é lei l’unica donna tra i primi tre del gruppo al momento dell’esame. Kasturi ha un problema serio, alla sua età non ha un fidanzato e tanto meno un marito, quindi sarà destinata a restare in casa ad occuparsi della famiglia, difficilmente qualcuno la chiederà in sposa. Come glielo dico che non ce l’ho nemmeno io? Certo che se é un problema per lei a 29 a me mi buttano al fiume? Non riesco a farla ridere, lei sai che per me é diverso (lo sarà davvero?). Comunque mi abbraccia e mi da un bacio e mi vengono le lacrime agli occhi, perché in India non si usa baciare le persone e quel gesto difficilmente potro’ dimenticarlo.
Mohamed, pare abbia un nonno francese, eredità del colonialismo. Vuole la cittadinanza francese e arriva con un pacco di documenti alto come un bambino di due anni. Mamma mia, come lo aiutiamo? A momenti non capiamo neppure noi cosa vogliono ed é scritto in francese, figurarsi lui. Lo accompagnamo al consolato. La prova di forza delle persone in divisa: far impazzire chi in divisa non é. Il militare tronfio ci fa fare due code diverse ovviamente inutili, per poi dirci che dobbiamo rivolgerci ad un altro ufficio. Ora ti spezzo un ginocchio imbecille. Alla fine l’unica cosa che riusciamo ad ottenere é un indirizzo di posta elettronica a cui inoltrare le domande ed un sito internet che abbiamo già controllato ed é inutile. Mohamed ha uno zio in Francia, che dovrebbe garantire per lui, che dovrebbe ospitarlo, che dovrebbe aiutarlo a integrarsi. Lo zio non risponde al telefono....
Rathakrisnan. Il più bravo della classe 18/20 il suo punteggio all’esame. Una timidezza imbarazzante. Sa tutto ma non ha neppure il coraggio di alzare la mano per rispondere, scrive sul suo quadernetto in modo ordinatissimo oppure lavora al computer preparando alla perfezione quello che chiediamo. I Dalit oltre agli altri problemi hanno anche questo. Non hanno autostima, la storia ha insegnato loro che sono intoccabili, gli ultimi tra ultimi. Nessun diritto, nessuna richiesta, nessun riconoscimento. Molti dei corsi hanno come obiettivo di sviluppare la fiducia in se stessi. Hai detto niente. Il teatro é uno dei mezzi. Tirare fuori quello che hai dentro, senza vergogna, un’impresa titanica. E noi come li aiutiamo? Impieghiamo un paio di ore a spiegare quanto sia importante sostenere il proprio punto di vista sul lavoro e nella vita, dire quello che si pensa. Cominciare dicendo a noi, che non hanno capito quello che spieghiamo se é il caso e chiederci di ripetere. Ci guardiamo Flo ed io e ci sentiamo Don Chisciotte contro i mulini a vento, una barca di carta in una tempesta. Cos’é arriviamo noi e pensiamo di cambiare il mondo? Beata ingenuità. In ogni caso dal giorno dopo qualche voce ogni tanto si alza timida: Madame, no understand. Almeno é un inizio.
Eppure nonostante tutto, quello che ho vissuto é gioioso e ricco. C’é lo spettacolo teatrale svoltosi per strada, tutti seduti per terra, a cantare, suonare e recitare, decine di bambini che ridono di cuore e fanno a gara per farsi fotografare cantando l’inno indiano. Per la gente del villaggio noi bianche in sahari, per giunta, siamo un evento e si affrettano fuori dalle porte mentre passiamo per poterci dire la sola parola di inglese che conoscono e stringerci la mano. La nonna di un ragazzo ci abbraccia forte e ci dice: “Memory, don’t forget us” dopo che abbiamo mangiato a casa sua piatti preparati apposta per noi, non troppo piccanti.
E poi le ragazze che ci accompagnano a comprare il sahari, esperte come Vogue India su colori e tessuti e che spenderanno poi 25 minuti netti per abbigliarci con le pieghe al posto giusto, orgogliose del risultato e felici che abbia fatto scomparire la frangia che proprio in India di moda non é!
E la cerimonia di consegna dei diplomi, dove sia noi che loro siamo invitati a dire qualche parola sulle due settimane appena trascorse. E allora che Murugan, un altro campione di timidezza, tira fuori un foglietto sgualcito su cui ha scritto in inglese un lungo discorso maccheronico che conservero’ tra le mie cose. E noi siamo commosse di brutto. Florence tira su con il naso ed io nascondo il mio, di naso, dentro alla tazza del the, per non far vedere che ho i lucciconi agli occhi. E poi festa! E hanno un regaletto per noi. Florence due dei inguardabili che riposano seduti su un fiore di loto ed io un’ode all’insegnante scelta personalmente da Jenith iscritta su una placca di vetro! E risate e chiacchere e tante foto e ci prendono per mano, per un ultimo giro in strada.
Oggi sono qui, a Parigi. Penso che quei quindici giorni siano una goccia nell’universo e penso a come poter aggiungere altre gocce. E’ vero. Ognuno ritorna alla propria vita, ma sono sicura io, di non essere più la stessa. Per fortuna.





PS. per rispetto e discrezione, ho scelto di non mettere le foto che si riferiscono ai ragazzi di cui parlo. Sapete che sono nella mia classe, questo é sufficiente. So che capirete.

lunedì 24 agosto 2009

Nadia e Florence dopo 15 giorni

6) Il tuc tuc, più noto come Riscio’. Non un mezzo di traporto, ma una minaccia. E’ un’ape car cabriolet gialla, l’antenato del taxi milanese suppongo. Vi ispira un casino vero detto cosi? Ecco prima di lasciarvi trascinare dall’entusiasmo vi domando cortesemente di salirci sopra e di attraversare Mission Street all’ora di punta. Salta un pedone, punta due biciclette, scarta una vespa, sfiora una moto, il tutto su una corsia che non é di certo la sua. Ma questo non ha importanza la regola é stare dove ci sono 50 cm di asfalto liberi. La retromarcia é manuale, nel senso che scende e sposta il mezzo a mano, cambio a leva di fianco al piede, clacson rappresentato da una tromba da stadio perché deve compensare la dimensione del mezzo con il rumore. Numero di incidenti rischiati in 500 metri almeno 7, mesi di vita persi 3, capelli bianchi comparsi sul capo almeno 15. Da provare.
7) Il Kafar. Definito più propriamente “scarafaggio”. Dopo la prima apparizione in bagno e la sua fuga con sberleffo, l’impudente decide di ripresentarsi quattro giorni dopo, un afoso mattino di agosto, di fianco al mio barattolino di Nivea, senza alleati, dilettante. Quando sto per afferrarlo, il barattolo, non lui, percepisco un’ombra nera e mentre mi domando, ombra rispetto a cosa, lui decide di muoversi. AAAAAAHHHH! Stavolta pero’ sono pronta, la scarpa giace dietro la porta, lasciata li appositamente con l’intenzione di uccidere, l’afferro e sgnac! Spiacente. Ritenta, la prossima vita sarai più fortunato.
8) Il disinfettante per le mani. Penso che la quantità di questo prodotto usata da me e Florence durante i quindici giorni sia pari solo a quella delle puntate di ER, tutto il dottor House, Grey’s Anatomy, qualche scena del dottor Kildare, 7 episodi di Quincy e 22 episodi di Nip and Tuc. Ogni cosa che abbiamo mangiato, rigorosamente con le mani, sapeva di peperoncino e di disinfettante gusto rosa. Una nuova accoppiata. Ad ogni pasto, furtivamente estraiamo la bottiglietta, una versata, una strofinata e via un tuffo delle dita nel riso. Se dovessimo star male, non pensate che si tratti del cibo, si tratta della sostanza chimica disinfettante, ne siamo sicure.
9) Il caldo. Premetto che dopo due anni di vita a Parigi io amo il caldo, anelo la canicola, desidero l’insolazione. Credo pero’ di avere sottovalutato la temperatura di Pondicherry: 42° di giorno con un’escursione termica di 9° che riduce la temperatura notturna a 33°, il che é molto lontano dal rendere necessario un paio di calzini. Alle 4 del pomeriggio abbiamo regolarmente un calo di pressione, geografie di sudore si disegnano sulle nostre magliette e sui pantaloni chiaramente lunghi per ragioni di conformità culturale con il paese ospitante, il ventilatore a pale pare emettere aria da phon, sto meditando di mettere dei bigodini per sfruttare l’evento quando Florence si accascia sulla tastiera ed io mi accascio su una sedia fino all’arrivo del Tchai, il the nero di cui abbiamo già parlato, a temperatura ustione. La dose di zucchero e latte ci permette di tirare le 7, ora in cui usciamo in strada e affrontiamo il traffico con un aspetto fisico raccapricciante: fronte lucida, capello spento, gelsomino appassito e tshirt che pare uscita da una battaglia idrica.
10) Il clacson. COSA? NON SENTO? COSA STAI DICENDO? EH?? Mi spiace ma a seguito di questo viaggio non possiedo più un apparato uditivo, si prega quindi di scrivermi invece di parlarmi grazie. EH? COME? QUANDO FACCIO I SUFFUMIGI? EH? AH NO QUANDO RIENTRO A PARIGI? Vabbé, lasciamo perdere vah, COME? VUOTI A RENDERE?

Un’altra cosa importante da segnalare é la localizzazione dell’immondizia: OVUNQUE. Quando svuotano i tombini, di cui preferisco non citare il contenuto, tutto viene delicatamente appoggiato per strada, non esistono bidoni della spazzatura, quindi le cose si accumulano sul ciglio delle vie generando un tripudio di colori, ma soprattutto di odori. L’immondizia oltre ad essere una moderna metodologia di arredamento é anche l’alimentazione delle vacche, che saranno pure sacre ma mangiano rifiuti, probabilmente perché sanno che tanto poi non saranno cibo per nessuno, una sorta di vendetta, certo che la vacca che mangia la calce pero’... suppongo avrà problemi digestivi e di transito, non voglio neppure immaginarmelo.
Un’ulteriore nota, una sera, di ritorno da Surguru, il nostro ristorante indiano preferito, arredato in stile minimalista, ove per minimalista intendo stile mensa, solo tavoli e sedie di plastica, placche in domopack al soffitto, in caduta libera che a momenti falciano un bambino, nessuna posata prevista; nel bel mezzo di una discussione sulla spazzatura (certo, tematica di un certo spessore culturale), scorgiamo di lontano un camion con i lampeggianti: il camion della nettezza urbana! Si, si, si! Ci precipitiamo per filmare il grandioso evento. Poveri innocenti e sprovveduti ragazzetti. Si tratta di una betoniera, enorme, che macina sabbia e che.... DECIDE DI SCARICARLA DAVANTI A NOI NEL CANTIERE ADIACENTE! Troppo tardi per la fuga, rimaniamo li, paralizzati dalla sorpresa, mentre lui spietato lascia cadere una tonnellata di sassi e sabbia, una coltre di polvere di ricopre, sembriamo mummie, ci guardiamo e ci viene troppo da ridere, siamo veramente al minimo storico di livello igienico in quindici giorni! Potremmo tirare su un muro con quello che abbiamo addosso. Alla fine compriamo una bottiglia di acqua per impastare il cemento e ci avviamo verso casa lasciando tracce bianche dietro di noi peggio di Pollicino con i sassolini o Lapo Elkann con altro.
Comunque decalogo e altre amenità a parte, abbiamo anche fatto un paio di gite. Il sabato di libertà gita ad Auroville, centro di meditazione yoga. La cosa divertente di ogni uscita é che il vero polo attrattivo siamo noi, cosi straordinariamente bianchi, rari ed evidentemente pure un po’ ridicoli, perché ad ogni breve sosta ci viene richiesto di partecipare a foto di gruppo e dopo una mezz’ora ci sentiamo già delle vere star! Un gruppo di ragazzi di un’università della capitale, ci chiede anche l’indirizzo email per poterci scambiare le foto, ci chiedono come mai siamo li e da dove veniamo, un fiorino (citazione da Non ci resta che piangere, ndr).
Il pomeriggio lo trascorriamo in una piccola gioielleria il cui proprietario mi vuole in sposa, come moneta di scambio, dopo che lo stremiamo per circa un’ora e mezza in negoziazioni di tappeti, anelli e orecchini. Per un attimo vedo l’’occhio di Florence brillare di gioia quando capisce che lasciandomi li avrà in dono un magnifico anello d’argento e pietre dure grande come un Ferrero Rocher, poi per fortuna l’amicizia prevale sulla cupidigia e dichiara di aver promesso al mio fidanzato di riportarmi indietro (come le sarà venuto in mente???) mi getta in macchina e gli promette che se il fidanzato mi dovesse lasciare mi rispedirà indietro, rifletto un attimo e penso che oltre al Briatore delle Mauritius abbiamo anche un Aga Khan di Auroville, in fondo é consolante sapere di avere un piano B.
Quando il processo si conclude lui é sull’orlo dell’esaurimento, Lalida, la nostra accompagnatrice indiana ha guadagnato un tappeto gratis e noi siamo sedute a terra (sai che novità) a bere tchai circondate da stuoie, cuscini e collane. Chiaccheriamo con lui per un’ora abbondante e poi ce ne andiamo con il nostro bottino.
Un ultimo evento da segnalare é la vestizione con il sahari. Dobbiamo indossarlo di primo mattino, per recarci a scuola da dove poi partiremo per il Festival di Veerampatinam. Il primo componente é un top che ci é stato fatto su misura dello stesso colore del velo. Ecco appunto, su misura non vuol dire che deve seguire le nostre dimensioni fisiche? Evidentemente no, perché io che lo provo per prima, mi trovo strizzata in un trapezio di stoffa che faccio fatica ad allacciare e che una volta terminato di agganciare mi impedisce la respirazione. Florence cade sul letto con le lacrime agli occhi quando mi vede sottovuoto come in un corpetto dei primi dell’ottocento, ma la sua risata si esaurisce tristemente al tentativo di infilare il suo, quando la mancanza di fiato le impedisce di proferire parola. Decidiamo di muoverci in apnea perché il benché minimo movimento potrebbe generare lo strappo, quindi respiriamo solo una volta ogni venti minuti.
Indossiamo la sottogonna e poi dobbiamo gestire i due metri e mezzo di sahari. Ma dove diavolo lo facciamo passare? Prese dallo sconforto ci avvolgiamo alla bell’e meglio, tanto poi qualcuna ci sistemerà e usciamo con l’aspetto di due mummie venute male e stranamente colorate. Giunte alla scuola vi lascio solo immaginare la faccia delle ragazze che ci accolgono: disgusto e disapprovazione condite da una palese vergogna. Ci nascondono in ufficio e ci sbendano per ricominciare tutto daccapo. Usciamo dopo 35 minuti di attività di restauro e la conferma che il top deve essere aderente, la respirazione non é rilevante. In effetti la differenza si nota, ora invece di avere nodi e colline abbiamo cinque pieghe sul petto e cinque pieghe sul ventre che creano un’eleganza naturale e soprattutto permettono di camminare senza dover sollevare le sottane, cosa che nella versione precedente non era prevista.
Incredibilmente trascorriamo tutta la giornata cosi, riusciamo a prendere il tuc tuc, camminare alla fiera, pranzare a casa di Jenith Esua, un nostro alunno, con le mani, sedute per terra, ve lo ricordo nel caso non foste attenti, andare a bagnare i piedi in mare, breve riposino alla guest house sdraiate come salme per non ciancicarci, ritornare a scuola, partecipare a tutta la cerimonia di distribuzione dei diplomi, passeggiata in centro e poi cena finale di gruppo in un ristorante dotato finalmente di forchette. CAMPIONESSE DEL MONDO, CAMPIONESSE DEL MONDO! Siamo riuscite a non rimanere in mutande, evento straordinario, meriteremmo un premio che sarà sbottonare il corpino malefico che avendo un laccetto sulla schiena che va da una spalla all’altra rimane tatuato stile mezzaluna a causa delle tre ore che abbiamo trascorso a picco sotto il sole. No comment, una riga bianca che non se andrà mai.
Insomma ridendo e scherzando siamo giunte alla fine della vacanza, mancano solo quattro ore di macchina e dodici di aereo e poi saremo di nuovo in patria! Non male. Solo una breve segnalazione relativa al tratto Pondicherry – Chennai. Dopo un’ora di macchina in cui siamo solamente in nove su una jeep, la solita, l’aria condizionata smette di funzionare, o meglio viene spenta perché genera la fuoriuscita di fumo dal cruscotto che non é certo un evento rassicurante. Sosta pranzo in un “ristorante” sul ciglio della strada rappresentato da: una capanna di foglie di banano, tavolacci in legno, due cani in libera circolazione sui quali si agitano colonie di pulci e mosche, una foglia di banano come piatto, che viene lavata con l’acqua locale (la probabilità che la maledizione di Shiva che ancora non ci ha colpito si abbatta su di noi si alza al 98%), una cucchiata di riso bianco, una di barbabietola, l’unico alimento capace di far piangere Florence dal disgusto, una di funghi, credo si tratti di amanita muscaria e una salsa vegetale che viene sdraiata sul riso, con una tale concentrazione di peperoncino che la foglia di banano rimane parzialmente deturpata per autocombustione. Sopra il tutto viene depositata una frittatina probabilmente arrostita su una lamiera esposta al sole. Sopravviviamo anche a questo.
A pochi chilomentri dall’aeroporto tutta la macchina comincia a fumare, impossibile fermarsi subito, siamo imprigionati nel traffico delle venti, dopo dieci minuti approdiamo ad un distributore, l’apertura subitanea del cofano fa saltare via il tappo del radiatore, Patricia e Vincent che sono con noi ma hanno un volo anticipato, stanno per perderlo, vengono quindi caricati su un tuc tuc e consegnati all’aeroporto mentre noi con la mia torcia a dinamo cominciamo a cercare il tappo. La scena é veramente esilarante, se non fosse che il proprietario del distributore viene a dirci che essendo a rischio di esplosione non possiamo stare in prossimità delle pompe e quindi dobbiamo sgommare! Miracolosamente il tappo riappare, versiamo due litri di Levissima nel serbatoio e ripartiamo sprezzanti del pericolo e riusciamo ad arrivare incolumi all’aeroporto. Passiamo ventuno controlli passaporto, bagagli, febbre, massa grassa, tasso alcolico, % di cellulite, conoscenza dell’inglese, domanda di geografia, dire, fare, baciare, lettera e testamento e poi veniamo abbandonati in una sala d’attesa che non ha neanche il numero del gate di imbarco esposto. Attendiamo un’ora e mezza dopodiché il numero del gate viene appiccicato in maniera davvero poco rassicurante, con un foglio di carta ad una porta, siamo pronte per partire. Back home! Il nostro regno per una doccia, una sedia ed una forchetta! Wanakam!

lunedì 10 agosto 2009

Nadia e Florence dopo 5 giorni

Ore 4 suona la sveglia, alle 4.45 dovrei prendere il taxi che mi porta dalle parti di Florence per andare insieme poi all’aeroporto. Peccato che trovi di sotto ad attendermi Tazio Nuvolari con il carattere di King Kong che mi urla perché non vuole portarmi dove devo andare. Il percorso é troppo corto e non gli permette di guadagnare abbastanza. Vorrei abbatterlo con un colpo di valigia, ma siccome non ho alternative mi limito a fare la straniera scema e lo supplico di portarmicisivi perché sono sola e abbandonata in città. Io mi carico 18 kg di valigia lui impreca e partiamo a razzo. Guarda continua cosi che ti tramortisco con la guida dell’India se non la smetti di brontolare, ti spacco la busta dei medicinali sul cranio imbecille e vedi di andare piano che mi sta venendo il paludismo prima ancora di partire.
Testa la sua auto che raggiunge gli 80 km orari in centro abitato in 8 secondi. Ho capito che arriverà solo il mio spirito in aeroporto. Peccato essere morta prima di arrivare a destinazione. Magari mi reincarnero’ in un pollo e andro’ cosi a Pondicherry.
Non so come arriviamo a Porte de Vicennes dove devo incontrare Flo e Xavier, il suo gentile marito che ci accompagnerà. Mentre li aspetto scambio due parole con due prostitute, due poliziotti e due ubriaconi, in effetti la zona é un po’ periferica, comprendo che il vero problema non é sopravvivere in India ma uscire vive da Parigi. Finalmente arriviamo al terminal 1 di Roissy e siamo pronte per il lungo viaggio, che va decisamente bene, fatto salvo che decidiamo di affrontare il cibo locale fin dall’inizio ordinando pollo cucinato all’indiana e schifando quello internazionale. Mettiamo in bocca un gran boccone di riso e bocconcini di volatile e tempo due secondo ci voltiamo una verso l’altra: Florence comincia a piangere e io emetto fuoco dalle orecchie. Una concentrazione esagerata di peperoncino. Quello di Soverato a confronto é una zolletta di zucchero! Ovviamente facciamo l’unica cosa da evitare, beviamo acqua e siamo pronte per il cimitero.
Insomma dopo 14 ore di viaggio, 3 film, 8 riviste e 4 chiacchere con i vicini indiani, giungiamo a Chennai, detta anche Madras, dove facciamo prima una coda per verificare se abbiamo l’influenza porcina, ci misurano la febbre e ci manca solo che ci controllino i pidocchi. Poi una coda per i passaporti e il tipo mi chiede dove sta l’Italia, ecco andiamo bene, ho trovato uno che conosce la geografia quanto me, gli dico che sta di fianco alla Francia un po’ sulla destra, pare convinto e mi lascia andare. Secondo me sul passaporto non mette un timbro ma un voto come a scuola ed io avro’ preso 4 come al solito. Poi una coda per le valigie, che stranamente arrivano tutte abbastanza velocemente (certo proporzionalmente alla coda di due ore, probabilmente ti fanno fare la coda per portarsi avanti con i bagagli e darti l’impressione che quando esci lei é già li ad aspettarti, astutissimi ‘sti indiani) e per finire controllo al metal detector per uscire. Ma cosa vuoi che porti fuori dall’aereo? Le polpette come bombe chimiche? I calzini del vicino? Ma lasciami uscire vah.
Appena fuori comprendiamo che la percentuale di europei é di circa uno ogni mille noi saremo una decina immaginatevi il resto. Troviamo subito Lalida e Perumal, i due responsabili del centro che ci sono venuti a prendere, tenete conto che é mezzanotte ora locale e ci dirigiamo verso una missione cattolica a dormire. Il primo trauma é l’attraversamento del parcheggio dove ci saranno centomila macchine che suonano il clacson senza sosta e la cosa più divertente é che quando innestano la retromarcia parte una musichetta tipo discoteca. Siamo schiantate dal ridere, musichette e clacson ovunque, una dependence di Rimini, ma quanto vediamo la geep con 195.000 km che ci dovrà trasportare ridiamo un po’ meno visto che il giorno successivo ci dovremmo passare 4 ore. Tappezzeria classe 1968, sulla quale si rilevano evidenti tracce di funghi, direi tartufi dall’odore, due ventilatori mini uno piazzato di fianco al guidatore e l’altro dietro per i passeggeri che scopriremo in seguito emanano aria calda, due foto di dei pendono dallo specchietto al quale é attaccata anche una profumatissima collana di fiori di gelsomino che emana un tale profumo che dimentichiamo tutto il resto.
Si parte! La seguente mezz’ora di auto é una delle cose che ricordero’ per la vita. Hanno la guida a destra, essendo un ex colonia britannica, ma non importa, perché il concetto é: mettiti dove c’é spazio, i semafori valgono solo se ci sono macchine più grandi della tua e soprattutto suona SEMPRE. E quando dico sempre, intendo sempre. Ad un certo punto sono talmente divertiti nel vederci attonite e stordite che ci spiegano di essere appena stati rimproverati da un automobilista perché non hanno suonato! La corsa più pazza del mondo, ecco dove siamo finite. Arriviamo alla missione e mi sembra di vedere la Madonna di Lourdes che ride a crepapelle mostrandomi una colonia di gechi sulla parete, ventidue zanzare e un montacarichi per arrivare al piano superiore dove dormiremo. Entriamo in camera, dove la temperatura é di 35 gradi circa, attiviamo un ventilatore a soffitto che potrebbe far partire un jumbo e verifichiamo che abbiamo solo un lenzuolo per dormire, quello dove staremo sdraiate. Il bagno é simpaticamente arancione di ruggine, non rileviamo la presenza di carta igienica perché qui non si usa e dal lavandino scendono stalagmiti di incrostazioni che hanno richiamato in passato colonie di scienziati, come le grotte di Toirano pressapoco. Laviamo la faccia con due dita come i gatti con la bocca sigillata. Cerchiamo di assicurarci che non ci siano ratti nelle vicinanze e proviamo a dormire.
Il mattino successivo appuntamento alle 9.30 ora locale, ovvero le 6 ora di Parigi, perché per rendere le cose facili qui non abbiamo manco un fuso come si deve, ci sono 3 ore e mezza, ora ditemi voi come diavolo faccio a sapere che ora é durante la giornata? E infatti non lo so da una settimana. Colazione in uno shop vicino al centro. Credo di aver preso il colera solo oltrepassando la soglia mentre scavalcavo l’immondizia e un tombino. Un the nero servito in una tazzina utilizzata ventidue volte prima del nostro arrivo senza essere stata lavata e che deve arrivare a trenta passaggi in totale prima di vedere una goccia d’acqua, chapati (frittelle di riso, come vedete la risomania comincia fin da subito) e frollini fritti, eh si, non aspettavo altro alle 6 del mattino.... una cosina proprio leggera.
Partenza per Pondicherry, 4 ore di macchina a 42 gradi, sosta all’autogrill rappresentato da un tizio in bicicletta che spacca cocchi freschi con un macete e siamo pronte a ripartire. Arrivamo e pranziamo in un ristorante tipico dove si mangia davvero bene e per stare leggere prendiamo un riso kashmir consigliato da Lalida, buonissimo, se non fosse che é giallo e fino a qui niente da recriminare ma con la frutta candita. Qui abbiamo ancora un cucchiaio per mangiare, non sappiamo ancora che da domani dovremo usare solo la mano destra! E non per ragioni politiche.
Alla fine arriviamo alla Ram Guest House che ci ospiterà per il prossimi quindici giorni ed é proprio carina vista da fuori, la stanza non é male é il bagno accettabile, abbiamo capito che la ruggine fa parte dell’arrendamento ma almeno non ci sono le stalagmiti. La prima notte facciamo amicizia con un altro ospite inatteso. Alle 4 del mattino vedo Florence uscire dal bagno con la faccia terrificata dall’orrore che brandisce un asciumano e che mi invita ad entrare. Comprendo la gravità del pericolo dalla sua espressione, mi armo di una scarpa pesante e mi precipito con l’intento di uccidere senza pietà. Entro e lo vedo. Enorme, nero, con due antenne radio e una dozzina di gambine! AAAHHHHHH! Che schifo! Soprattutto perché sta camminando sul lavandino. Lancio la scarpa ma lo manco e si rifugia nel buco, irragiungibile. Tappiamo il buchetto con la carta igienica e mettiamo un secchiellino per impedirgli di uscire dallo scarico. Siamo diaboliche, speriamo non stia preparando un assalto con amici venuti per aiutarlo
Primo giorno all’associazione. Prima di tutto realizziamo che dobbiamo togliere le scarpe prima di entrare, quindi trascorreremo quindici giorni a piedi nudi con conseguenze igieniche che dureranno due mesi.
Comunque tutto é perfetto, ci sono dodici ragazzi e ragazze che ci aspettano per le lezioni e cominciamo con un giro di presentazioni. Questo ci permette di capire la prima difficoltà: non capiamo niente di quello che dicono in inglese e loro non capiscono niente di quello che diciamo noi in inglese. Perfetto sarà tutto facilssimo. Come in ogni classe che si rispetti ci sono i preferiti e qualche capra. Non faro’ nomi, ma ne abbiamo uno che qualunque sia la domanda che facciamo risponde: income tax, tasse sul reddito. Dove le mettiamo le spese di trasporto? Income tax. Da che parte dello stato patrimoniale stanno di Debiti verso fornitori? Income tax. A che ora cominciamo domani? Income tax. Bene ora lo pesto, con la mano sinistra cosi é ancora peggio. Poi abbiamo i bravi ma timidi, che mandiamo alla lavagna per la correzione e ci pregano di rimanere nascosti, ma noi, vere Rottenmehier siamo inflessibili, anche perché abbiamo ricevuto precise consegne dalla loro capa: sono bravi ma timidi, bisogna dar loro coraggio. Siamo a posto, con me come massimo esempio di timidizza tempo una settimana sono a fare comizi in piazza...
Un altro momento molto bello e molto buono é il the delle 11. In quanto a livello di gradevolezza penso paragonabile solo al the alla menta del Marocco. Qui si tratta di the nero con latte e zucchero. Un dettaglio importante, viene servito in tazze di alluminio. La prima volta lo afferro senza riflettere e i resti bruciati delle mie dita sono ancora attaccati a quella tazza. I ragazzi vedendo la mia espressione di dolore si rotolano al suolo dal ridere.
Altro momento magnifico é il pranzo collettivo. Tutti seduti a terra in cerchio a condividere riso, pollo speziato e verdure. Anche qui diamo spettacolo. A parte il fatto che dopo cinque minuti che siamo sedute diventa impossibile rimuoverci dal tappeto a causa della paralisi che ha colpito i nostri arti inferiori, la parte migliore e di sicuro portare il cibo alla bocca usando solo la mano destra spezzando eventualmente quello che abbiamo nel piatto. Ecco appunto. Loro non fanno cadere neanche un grano di riso, noi siamo una catastrofe umana! Si danno di gomito e ridacchiano sotto i baffi cercando di contenersi, siamo pur per sempre le professoresse per il momento.
Comunque questa prima settimana di vita, o meglio di sopravvivenza qui, ci ha fatto comprendere che ci sono alcune regole base da seguire, che permettono di non avere conseguenze letali sulla nostra salute almeno per il momento.
Ecco la prima parte del decalogo, dopo Rust il Selvaggio, Rubbish le Selvaggie, perché é un po’ quello che siamo diventate, socialmente inaccettabili e sicuramente Intoccabili, in tutti i sensi:
1) Il bagno. Se lo conosci lo eviti e se lo eviti non ti uccide. Ergo andarci il meno possibile, quindi non si beve, se non si beve non si deve far pipi e se non si deve far pipi non c’é bisogno di avvicinarsi a quelli che qui sono considerati bagni. In ognuno di essi é presente un secchio per “sciacquarsi” perché qui la carta igienica é considerata impura, certo mentre il secchio in cui ognuno mette le mani dopo l’attività evaquativa é una sorgente di alta montagna e ci vedi dentro le aquile volare, circa cinque centrimetri di acqua per terra che é uscita dal secchio medesimo, ricordatevi di portare le pinne é possibile trovare una concentrazione di batteri tale da permettere al centro di ricerca batteriologica Pasteur di potrebbe organizzare un convegno.
2) L’acqua. Niente acqua. Principale causa della maledizione di Shiva, va bevuta esclusivamente in bottiglia e va evitato ogni contatto inutile. Un semplice esempio: lo spazzolino da denti. Vi chiedo solo di provare a inumidirlo con una Levissima naturale, lavate i denti, sciacquate la bocca, lo spazzolino per bene e guardate la bottiglia. Inutilizzabile per chiunque altro, un incubo da guardare, tutta ricoperta di dentrifricio per tre volte al giorno, per quindici giorni. Si consiglia questo genere di attività solo dividendo la stanza con qualcuno che conoscete bene. Florence ed io ora siamo unite da un patto di sangue, riso e dentifricio ormai. Inutile ricordarvi di chiudere la bocca mentre fate la doccia vero? Ecco, l’acqua la potete scegliere fredda o calda, nel senso che o a 17° o a 42° come la temperatura esterna. Potete anche miscelarla con il secchio suddetto, a voi la scelta.
3) L’antizanzare. Sempre e ovunque. Brandirlo come una spada. Al mimimo svolazzare sospetto estrarre e spruzzare. In patria vi dicono di usare quelli europei che sono più forti, quando arrivate qui, alla cinquantesima puntura comprendete la portata della menzogna e andate a prendere Odomos, il tuo aiuto contro le bagotte. Un euro di antizanzare locale che allontana pare anche i pippistrelli, qui presenti in grandi quantità, viene utilizzato come fertilizzante nei campi e decespugliatore, nel caso di presenza di Kafar lanciarlo.
4) Riso. Sempre e ovunque, come l’antizanzare. Un altro amico fidato nella lotta alla maledizione. Con la frutta candita, fritto, saltato, bollito, basmati, pilaf, vegetale, con il pollo, al kurry, allo zafferano, con l’uovo, frittella di riso, uttapahm di riso, idly di riso. Colazione, pranzo, cena. Pausa delle 11, pausa delle 16. Al terzo giorno lo guardi e ti viene da piangere. Al quinto ne sei assuefatto, vuoi mangiare solo riso. Ho chiesto a mia mamma di prepararmo un risotto quando arrivo a casa. Mangia riso e muori.
5) Cibo. Più in generale. Quando dici che vai in India tutti i tuoi amici, parenti, conoscenti, colleghi improvvisamente diventano più esperti di Gandhi. Sanno tutti cosa devi evitare di mangiare e la lista é infinita. Proibiti: verdura, frutta, carne, uova, latticini, succhi di frutta, gelati, tutto cio’ che é venduto per strada. Beh ora ditemi voi cosa resta! Pane di vari tipi e riso. Appunto di questo ci nutriamo da 7 giorni, un tasso glicemico da diabetiche. Avremo energia disponibile per correre 24 ore.
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