lunedì 13 febbraio 2012

KOH CHANG – E l’allegra brigata.

Quest’anno ho deciso di scampare al dramma delle feste e quindi ho prenotato una vacanza in una località facilmente raggiungibile dall’Italia: ARCIPELAGO DI KOH CHANG, Thailandia.
In questa simpatica avventura ho avuto la fortuna di essere accompagnata da una prode cavaliera nonchè amica: Giuliana. Donna che conoscevo come esempio di gran classe, mondo, cultura e cucina e che ho riscoperto in qualità di mozzo, up and down con l’ancora. La prima volta che il capitano le ha chiesto di occuparsene, ha tirato su una rete piena di mostri di Lockness e immondizia. Ho visto questa donna sventrare dei tonni e ho percepito essere pronta a tutto per l’aperitivo a base di birra delle 7 accompagnato dal platano fritto, compreso inviare sulla terra ferma parte dell’equipaggio per non dover condividere le scorte. Proprio vero che le persone non le conosci se non nei momenti di difficoltà. Comunque siamo più amiche di prima non è da tutti avere in barca Carlo Cracco nella gestione della cambusa.
Abbiamo leggermente sottovalutato il viaggio per arrivare. Volo da Milano Malpensa a Singapore 12 ore, volo da Singapore a Bangkok 2,5 ore, volo da Bangkok a Trat 1 ora circa. I tre voli seguiti da un pulmino, un traghetto, su cui è salito il pulmino e un pulmino di nuovo. Dopo solo 24 ore di viaggio siamo arrivati alla marina di Koh Chang in uno stato di degrado fisico abbastanza elevato e abbiamo affrontato la prima, di innumerevoli cene, a base di pad thai, gli spaghetti locali saltati e cucinati con l’aggiunta di pesce o carne. Direi che abbiamo mangiato pad thai per circa 14 giorni, ormai totalmente assuefatti ci è stato impossibile ordinare altro in seguito.
Prima di cominciare però vorrei descrivervi l’allegra brigata dei compagni di viaggio, che è la cosa che ha reso la vacanza indimenticabile in effetti. Siamo in nove in barca, compreso quello che all’inizio della vacanza chiameremo con grande rispetto Il Capitano e che alla fine si vedrà il titolo storpiato in mille declinazioni. Cominciamo proprio da lui.
Alessandro, il capitano. Si tratta di una vecchia conoscenza. E’ lui che mi ha fatto il corso di primo mare, nonostante questo ha deciso di avermi comunque sul suo catamarano. Talvolta alcune scelte non si spiegano, ma credo che la sola e vera ragione per la quale si fa carico della mia persona è alcolica. No, non ha bevuto, aspetta di bere il limocello 80° che ho stipato nella valigia e che attraverserà il mondo per accompagnarsi a noi. Adotta un comportamento molto liberale nella gestione del mezzo, organizza corsi di formazione con tematiche differenti: Origini e sviluppi dei nodi di bordo, Gestione a coppia dell’ancora elettrica (stile carabinieri, una la butta giù e una la tira su), Evoluzione del parabordo. Non so se notate con quale proprietà di linguaggio nomino le parti della barca, sembro un’altra persona, avrò pure imparato qualcosa no? Ha una visione abbastanza maschilista del mondo, pretende che le donne della barca a turno gli spalmino la crema solare mentre fissa l’orizzonte alla scoperta di nuovi mondi, sembra Capitan Findus. In un momento di delirio di onnipotenza vede trasformarsi il suo titolo da Sua Eminenza (così gli piace farsi chiamare) a Sua Assurdità. A volte gli onori decadono con la convivenza.

Daniela, la scienziata. Dopo pochi giorni ci rendiamo conto di avere in barca una scienziata. Non è da tutti. Stiamo facendo una lezione di navigazione, su paralleli e meridiani e lei improvvisamente domanda: ma quale è la latitudine (o longitudine non so! Io non so neppure dove sta Assago rispetto a Milano) a cui stiamo navigando? Il capitano risponde xxxx...xxx 12 gradi nord. E lei? Solo? No scusa, solo rispetto a cosa? Solo che? Ma che razza di domanda stai facendo? Non contenta aggiunge: pensavo fossimo almeno a 15° o 17°. Tutti ammutoliti. E le chiediamo una spiegazione. Lei serafica risponde: “Ho dato un’occhiata all’atlante prima di partire per scegliere bene il livello di protezione della crema solare, perchè a seconda della latitudine sceglievo una protezione diversa”. Ah sì certo. La spiegazione è ancora più agghiacciante della domanda. Lasciamo perdere, va bene così. Non è pericolosa. Tutti viaggiano con un romanzo o dei racconti o delle riviste, lei si accompagna ad un volume di enciclopedia: Vita nel mare. Al momento opportuno sfodera la pagina che parla di sirene e cetacei. Inquietante.
LA FAMIGLIA. Prima di partire scopro di viaggiare con una famiglia e già ci viene il cimurro: avere in barca una quindicenne svitata o un dodicenne ribelle che combatte contro i brufoli sarà un incubo. Invece i due famigerati figli hanno lei 34 anni e lui 27. Li amiamo subito. Ve li presento.
Ale piccolo. Soprannominato tale data la sua età, non la statura, per distinguerlo dal Capitano, Ale grande appunto. E’ il coccolo della barca. In men che non si dica, alla terza sera, dopo la seconda birra diviene il Maestro. Le sere saranno caratterizzate dalle sue lezioni su come gestire il BDF: Barracuda da Figa (scusate il termine, ma la censura non ha diritto di intervenire). Non come evitarlo, ma come riconoscerlo, usarlo e gestirlo senza conseguenze. Usciremo da questa vacanza con un simpatico vademecum di 10 regole che vi andrò ad indicare in seguito che ci hanno permesso di ridere senza sosta dalle 23 in poi, dalle 7 del mattino in poi. Pause pranzo e momenti meditativi a prua. Ha passato la vacanza a rifiutarsi di mangiare il pesce fresco pescato o comprato a causa di Fukushima. Ci considera ormai radioattivi. L’unico a mangiare il pad thai col prosciutto cotto invece che con sea food. Coerente.
La sorella, Teresa. Dotata di patente nautica è stata la vittima preferita del capitano a cui non pareva vero di avere qualcuno che capisse i suoi discorsi di gradi, latitudini, longitudini e rotte. Anche lei influenzata forse dal suo maschilismo, prima di tutto si riufiuta di spalmargli la crema e in occasione di una discussione sugli uomini che cucinano, originata da una lezione del maestro, dichiara con una certa sicurezza: un uomo che cucina mi sembra gay. Le femmiste dell’isola si sono suicidate strangolandosi con un grembiule da cucina arrotolato.
Giovanni, il babbo. Giovanni è l’uomo gommino o tender o gommone che dir si voglia. Non appena il catamarano si ferma lui parte in quarta all’assalto dei pescherecci nelle vicinanze e torna vittorioso con del pesce fresco, che rifila alle donne della barca per essere cucinato. Una volta l’ho seguito nella negoziazione, è riuscito a scambiare delle seppie deliziose con della fanta thai dal gusto chimico di plastica zuccherata. Un oscar al negoziatore. Lo abbiamo amato di meno quando è tornato con un sacchetto di piccoli pseudo tonni, una trentina. Abbiamo passato 2 ore Giuliana, Emanuela ed io a sventrarli a poppa, sangue a fiumi, interiora, polmoni, fegati.... una scena disgustosa. Ovviamente per due giorni le nostre mani hanno avuto profumo di gelsomino. Da dimenticare. Mai fatto neppure a Milano neppure sotto tortura, confortate dal perfetto pesce pulito dell’Esselunga. Ma si sa, la vacanza è natura. Cotti al forno con aglio e olio. In più rate. Non riuscivamo più a liberarcene. Questo ha reso impossibile per quella sera al capitano di dormire senza incubi marittimi nella dinette puzzolente.
Emanuela. Compagna di Gianni. Santa donna. Sempre di corvée in cucina, con me e Giuliana. Dotata di 23 o 24 creme solari diverse è riuscita a rispondere alle esigenze di tutti in barca: protezione 40 resistente all’acqua gusto caffè, protezione 23,5 con antizanzare e filtro antiparticolato, protezione 17,5 senza profumo con cristalli di quarzo. Al terzo giorno aveva l’eritema! Secondo Ale piccolo causa: Fukushima.


Monica. La dottoressa, nel senso che è medico, ci arriva in barca un po’ acciaccata, si è rotta un costola qualche settimana prima e quindi non può nuotare. Durante la vacanza le si spaccherà anche un’unghia, una vera tragedia. Ma la cosa più tragica è stata riporla nel portafoglio per riportarla a casa. Essendo lei una professionista ballerina di tango, impossibile esibirsi senza. Comunque, nonostante la costola e l’unghia, viene calata regolarmente in acqua e attaccata ad un salvagente trainato dal coraggioso e poderoso capitano, questo le permette di seguirci in tutti gli spostamenti, dove non arriva il capitano arriva Giovanni col gommino. Siamo una squadra fortissimi! E’ l’unica che ha una conoscenza della barca approfondita ed è grazie a lei se Giuliana ed io riceviamo una traduzione per marelesi degli ordini del capitano.
Giuliana. Abbiamo già parlato di lei prima. E’ la capo cuoca della barca. Il Vissani d’oltreoceano. Organizza noi aiuto cuochi permettendoci di sfidare l’altra barca in prove aperitivo degne di masterchef. Ha un solo momento di defaillance: In navigazione, colta da un eccesso di zelo, rischia di essere tirata in acqua da un buiolo disobbediente. Giuliana salvata, bugliolo perso! Se non sapete cosa sia un bugliolo andate a cercarlo. Abbiamo passato il resto della vacanza a lavare il ponte coi bicchieri di carta.
Io. Lo che mi conoscete già, però vorrei aggiungere un dettaglio che mi pare di rilievo. Durante questa vacanza ho manifestato una particolare attitudine alla discesa e salita in gommone. La mia performance migliore si è prodotta al giorno 1 di fronte fortunamente o sfortunamente solo al Capitano. Nella discesa sono caduta rovinosamente all’interno (che botta di c...) del gommone, al rallenty, percorrendo praticamente tutto il bordo con la schiena. Momento indimenticabile. Questo ha reso la mia attività leggendaria al punto da meritare l’attenzione di tutto il gruppo ad ogni riverificarsi dell’arrembaggio del tender: 16 paia di occhi concentrati a fissarmi in attesa di scivolate varie che si sono puntualmente verificate. Rimane ancora nella memoria di tutti la lezione di discesa nel gommino del capitano con la seguente indicazione: “ Devi mettere il peso sulla gamba che sta davanti quando la alzi per scendere”. “Eh?” Un rapida analisi mi fa comprendere che la gamba davanti è quella sospesa in alto nell’atto del passo. Quindi? Se è sospesa come diavolo ci metto il peso sopra? E mi sento molto Karate Kid nella prova del calcio. Tutti lo guardiamo allibiti, ma nessuno osa fare domande, è pur sempre il capitano. Io continuo a cadere non essendo in grado di applicare il suggerimento. Il mistero del peso sulla gamba sospesa verrà affrontato nella puntata di settimana prossima di Kazzenger.
Bene, la vacanza comincia, e tutti siamo un po’ guardinghi cercando di scoprire qualcosa di più dei nostri compagni di barca. Soprattutto del ragazzone alto e timido (mai valutazione fu più errata, ma lo scopriamo presto) che la seconda sera, con un tasso alcolico importante comincia a parlare del barracuda da figa. La sua premessa è la seguente: “Quello che vi sto insegnando, non è come evitare il barracuda, bensì come riconoscerlo e saperlo gestire senza dolore.”.
La prima lezione ci spiega che ci sono due tipi di uomini, il barracuda di cui parleremo fra poco e il modello Cicciandron. Carino, questo nome che si è inventato! E invece no. Non è un’invenzione. E’ il nome del suo amico del cuore che è stato distrutto da una malefica donna. Lui è l’antitesi del barracuda. Un uomo finito, rovinato, una larva di uomo secondo il maestro. Proviamo a rassicurarlo, dicendogli che è giovane e che ci saranno altre cose, ma lui ci zittisce con una metafora illuminante: Ciccia è come una Lamborghini che ha avuto un incidente, non tornerà mai più come prima. Ostia, un filosofo a ventisette anni, sorprendente! Intanto siamo tutti sdraiati a prua a guardare le stelle cadenti nella speranza di vedere esauditi almeno un centinaio di desideri. E proprio sul più bello, quando una magnifica scia nel cielo ci fa sorridere di gioia, interviene Daniela a farci tornare coi piedi per terra: “Il desiderio non vale se non si è espresso nell’esatto instante in cui si è generata la scia della stella cadente”. L’orrore scende sulla barca, nessuno di noi è stato così veloce e non lo saremo mai per tutta la vacanza. Non siamo credenti, eppure questa nuova regola riesce ad insinuarsi in noi, Daniela lo avrà letto sull’enciclopedia, è scientifico. Scopriremo troppo tardi che Daniela e il Capitano passeranno gran parte del loro tempo a inventarsi regole nuove e complicate per ogni cosa che deve accadere o avverarsi! Guastafeste!
Torniamo al barracuda. Innanzi tutto il primo incontro col barracuda non deve durare più di 17 minuti. Un tempo non troppo lungo per non lasciargli spazio, non troppo corto per creare un contatto. La prima lezione chiave è cosa scegliere da bere quando lui decide di offrircelo: sempre qualcosa di più alcolico di lui, perchè dobbiamo dimostrare che non temiamo nulla. Il barracuda deve capire che deve stare al suo posto. Poi non dobbiamo bere tutto, giusto per non finire stese morte sotto al bancone, ma intanto gli abbiamo dato un messaggio preciso. Insomma sembra di leggere un articolo di Men’s health al femminile. Women health. C’è una premessa, una cosa che non dobbiamo dimenticare mai è l’analisi del contesto. Se non faremo un’adeguata analisi del contesto saremo cibo per i vermi. Porca miseria.
Dobbiamo guardare il barracuda negli occhi e sapere bene cosa vogliamo da lui. Da qui la
Regola N. 1) Non devo farmi male. Il barracuda va riconosciuto a distanza, per evitare di cavare sangue da una rapa, di dimagrire da Mc Donalds o di fare una maratona sui tacchi. Noi veniamo prima di tutto, questo non va mai dimenticato. Grande il Maestro, include anche una lezione sull’autostima, ha solide basi. E noi sembriamo i fedeli alle prediche dei santoni negli stadi.
Regola N. 2) Mai limonare la prima sera. Rimandare tutto. Il barracuda deve rimanere a bocca asciutta e non avere capito che ha delle chances. Lasciarlo crogiolare nell’insicurezza.
Regola N. 3) Se non ce n’è non ce n’è. Profetica. Non avevo capito che avessimo in barca un personaggio della levatura di Seneca o Platone. Questa regola è sintentica ma geniale. Insomma, dobbiamo capire se il barracuda non è interessato, anche se questo ferirà la nostra autostima, perchè spesso facciamo finta di non capire, ecco due esempi pratici della regola numero 3.
                      Comma 3.A. Il barracuda dice: “Ci sentiamo domani per un aperitivo” e non chiama. E’ evidentente immediatamente: non ce n’è. Evitare di giustificarlo con un: il cane gli avrà mangiato il telefono, la Vodafone è fallita forse, avrà scritto il numero sbagliato... no, semplicemente NON CE N’E’!
                      Comma 3.B. Il barracuda dice: “Ci sentiamo, ti chiamo io prossimamente”. Se non chiama entro le 24/48 max significa che NON CE N’E’. Fatevene una ragione vale ciò che abbiamo appena scritto sopra relativamente alle autogiustificazioni.
Regola N. 4) Non andare dove ti porta il cuore, va dove ti dice l’Ale piccolo. E qui abbiamo un attimo di dubbio. Cioè? E lui: possibile che il cuore vi porti sempre dove sta il membro (censura) del barracuda??? Dovete proteggervi dal barracuda, quello che vi insegno serve per pilotare il barracuda, non per farvi sbranare da esso che è ghiotto di f..a, appunto! Non fa una grinza.
Regola N. 5) Non trattiamo un sospetto “non barracuda”, un uomo all’apparenza normale, come nostro amico. E perchè mai? Perchè prima di tutto non si può mai escludere che sia un barracuda. E perchè per noi donne è troppo difficile riconoscerlo senza il dovuto allenamento e rischieremmo così di finire nella rete come tonne.
Regola N. 6) per mia madre che sta leggendo, passa direttamente alla regola 7. Scusate ma devo mettere delle censure pur essendo solo l’ambasciatore, lo scrivano, incaricato di diffondere il verbo per salvare delle ignare ed indifese donne. Dunque regola N.6) Impariamo a fare il sesso orale (ovviamente in barca non è stata usata una terminologia prettamente scientifica, bensì linguaggio da porto per dovere di cronaca).
Due domande chiave: Come? Guardare i video di una nota porno star, tale Jenna Jameson, chiaramente sconosciuta a tutte le donne della barca, invece gli uomini hanno ammiccato.
Quando? Sempre, sesso orale a nastro, in ogni momento della giornata!
Regola N. 7) Ad ognuno il suo ruolo. Non bisogna soffocare l’altro. Non si devono perdere le amicizie, se si vuole uscire si esce. Non bisogna perdere autonomia e indipendenza perchè il barracuda in quanto tale è una presenza effimera, oggi c’è e domani quasi sicuramente non ci sarà più. E il fatto di sapere che facciamo lo mette almeno un po’ in apprensione.
Regola N. 8) Non più di 50 parole al giorno. Parlare di meno, praticare di più. Tanto un uomo più di 50 parole non le ascolta quindi tempo sprecato.
Regola N. 9) Se si litiga chi torna da chi? Non ha importanza. Fare sesso invece. Il sesso aggiusta tutto ed è molto meglio quando si è incazzati!
Regola N. 10) Mai smettere di guardarsi in giro. Diverse sono le ragioni ma permettemi una citazione illuminante: “Nothing lasts forever in the cold november rain.” Guns ‘n roses. Abbiamo già detto che il barracuda è effimero e precario, può scomparire da un momento all’altro e poi, molto importante, se si accorge che vi guardate in giro, questo lo mette in tensione e lo tiene allacciato.


Insomma, questo patrimonio scientifico, viene raccolto in circa quattro sere. A pancia in su a prua con cielo sereno o nuvoloso, fino alle 4 del mattino, con un bicchiere di limoncello, quello di cui abbiamo parlato prima e un sigaro profumato. Il maestro conclude dicendo: “Prima di aver parlato con me, andavate in giro come particelle impazzite. “ E’ evidente che è in un momento di delirio di onnipotenza. Quello che abbiamo capito è che alla fine per controllare un uomo l’unica cosa che serve è il sesso. Illuminante. Forse avremmo potuto arrivarci anche da sole!
Insomma un ultimo episodio importante da ricordare: il Capodanno. Come mai? Perchè lo abbiamo festeggiato tre volte. Direte voi: uno thailandese, uno italiano e il terzo? No. Non ci siamo. Ora vi spiego.

A dire il vero lo abbiamo trascorso cenando in un resort molto carino. Una cena di capodanno a base di pad thai. Come al solito. I gestori hanno preparato uno spettacolino, hanno vestito dei camerieri componendo grazie ad una lettera per ogni maglietta il seguente messaggio: HAPPY NEW YEAR 2012! Per un totale di 16 camerieri. Hanno sparato dei fuochi e poi ci hanno venduto delle lampade di carta, che una volta accese, grazie al riscaldamento dell’aria interna volano in aria e portano al cielo i desideri degli uomini. Non vi sto a dire che anche qui il Capitano e la Scienziata hanno cominciato ad enunciare nuove regole sulla validità dei desideri, minacciando anche che se non li avessimo ascoltati, avrebbero fatto volare in cielo un’ultima lampada col desiderio: “Vorrei che i desideri di tutti gli altri non si esaudissero”. Da veri bastardi insomma. Tutto ciò è molto carino, se non fosse stato per il fatto che si è verificato alle 23.40 ora di Koh Chang, dopo i fuochi hanno chiuso tutto, quind ben prima della mezzanotte, straordinario! Quindi Capodanno N. 1. Decidiamo a quel punto di spostarci nel resort di fianco che stranamente ha deciso di festeggiare allo scoccare delle 24, incredibile eh? Arriviamo giusto in tempo per il count dow finale e per comprare tre birre da dividere in nove e brindare al nuovo anno! Mai brindato a birra, però eravamo a piedi nudi sulla sabbia, in copricostume, donne leggermente truccate per la prima volta dopo giorni di vita selvaggia. Tutto ciò ha un valore inestimabile! Capodanno N. 2. All’una decidiamo di tornare in barca. Tiriamo fuori dal frigorifero l’unica bottiglia di champagne che abbiamo trasportato in valigia dall’Italia, ce lo dividiamo in 9 nei bicchieri di carta, davvero trés chic, scatta il terzo brindisi. Ore 01.13. Capodanno N.3. Spettacolare. A quel punto dopo una mezzora di ballo scatenato ci lanciamo in acqua per il bagno di mezzanotte, peccato che siano le 2 e mezza del mattino. Tanto abbiamo capito che in questa vacanza con gli orari non ci prendiamo.
Comunque, resta da dire una cosa. Che al momento del lancio delle lampade dei desideri, ad un certo punto ci siamo messi tutti insieme. Abbiamo acceso la piccola candelina interna, abbiamo retto la carta aspetto che l’aria calda la gonfiasse. Abbiamo accompagnato la sua salita fino a quando non era più possibile trattenerla con le nostre braccia e abbiamo espresso un unico desiderio collettivo: “Fa che si avverino i desideri di tutti...”.











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