domenica 30 agosto 2009

L’India senza ridere

Fino ad oggi abbiamo riso sull’India e sulle cose che mi sono successe e che ho vissuto, perché lo sappiamo, fa parte del rito e del gioco, ma c’é anche una parte di questa meravigliosa esperienza che voglio condividere con voi e che tanto ridere non fa. Quindici giorni non cambiano la vita, ma a volte fanno cambiare il tuo pensiero, il tuo modo di vedere le cose perché sei li immerso in quella realtà, vivi la loro vita, non vivi la tua o almeno ci provi ed é normale che la tua prospettiva sia diversa, perché é diverso il punto di partenza. E allora provo a raccontarvi l’India attraverso gli occhi dei miei ragazzi.
Penso a Ranjini, che con il suo viso affilato e triste ci chiede come potrebbe ingrassare qualche chilo perché le donne come lei in India non sono troppo apprezzate, che lei ci ha provato a mettere su qualche chilo, ma non ci riesce proprio. Che le diciamo? Che Florence ed io siamo in perenne lotta con la bilancia? Che da dove veniamo noi una modella anoressica é il sogno di ogni ragazzina e pure di qualcuna che tanto ragazzina più non é? Oppure ascolto Jenith Eshuan e il suo sogno di studiare a Cambridge. Lui ha 17 anni e ha dovuto sospendere il college per un po’ perché la sua famiglia ha avuto problemi economici, pero’ quest’autunno ricomincia cosi riesce a rimettersi in pari. Parla un inglese che mi ci vuole un traduttore turco per capirlo eppure la sua curiosità di sapere é evidente, cosa é la crisi economica? E perché le banche sono fallite? Mi spieghi come funziona la borsa? Accidenti, domandine cosi, da risposta davanti ad un tchai... Mi dice che vuole fare l’ingegnere e che un giorno verrà in Italia, perché é una città piena di storia e vuole vedere il Colosseo. E poi c’é Kasturi, che ha 29 anni, la più grande della classe, la più timida, la più silenziosa, eppure é lei l’unica donna tra i primi tre del gruppo al momento dell’esame. Kasturi ha un problema serio, alla sua età non ha un fidanzato e tanto meno un marito, quindi sarà destinata a restare in casa ad occuparsi della famiglia, difficilmente qualcuno la chiederà in sposa. Come glielo dico che non ce l’ho nemmeno io? Certo che se é un problema per lei a 29 a me mi buttano al fiume? Non riesco a farla ridere, lei sai che per me é diverso (lo sarà davvero?). Comunque mi abbraccia e mi da un bacio e mi vengono le lacrime agli occhi, perché in India non si usa baciare le persone e quel gesto difficilmente potro’ dimenticarlo.
Mohamed, pare abbia un nonno francese, eredità del colonialismo. Vuole la cittadinanza francese e arriva con un pacco di documenti alto come un bambino di due anni. Mamma mia, come lo aiutiamo? A momenti non capiamo neppure noi cosa vogliono ed é scritto in francese, figurarsi lui. Lo accompagnamo al consolato. La prova di forza delle persone in divisa: far impazzire chi in divisa non é. Il militare tronfio ci fa fare due code diverse ovviamente inutili, per poi dirci che dobbiamo rivolgerci ad un altro ufficio. Ora ti spezzo un ginocchio imbecille. Alla fine l’unica cosa che riusciamo ad ottenere é un indirizzo di posta elettronica a cui inoltrare le domande ed un sito internet che abbiamo già controllato ed é inutile. Mohamed ha uno zio in Francia, che dovrebbe garantire per lui, che dovrebbe ospitarlo, che dovrebbe aiutarlo a integrarsi. Lo zio non risponde al telefono....
Rathakrisnan. Il più bravo della classe 18/20 il suo punteggio all’esame. Una timidezza imbarazzante. Sa tutto ma non ha neppure il coraggio di alzare la mano per rispondere, scrive sul suo quadernetto in modo ordinatissimo oppure lavora al computer preparando alla perfezione quello che chiediamo. I Dalit oltre agli altri problemi hanno anche questo. Non hanno autostima, la storia ha insegnato loro che sono intoccabili, gli ultimi tra ultimi. Nessun diritto, nessuna richiesta, nessun riconoscimento. Molti dei corsi hanno come obiettivo di sviluppare la fiducia in se stessi. Hai detto niente. Il teatro é uno dei mezzi. Tirare fuori quello che hai dentro, senza vergogna, un’impresa titanica. E noi come li aiutiamo? Impieghiamo un paio di ore a spiegare quanto sia importante sostenere il proprio punto di vista sul lavoro e nella vita, dire quello che si pensa. Cominciare dicendo a noi, che non hanno capito quello che spieghiamo se é il caso e chiederci di ripetere. Ci guardiamo Flo ed io e ci sentiamo Don Chisciotte contro i mulini a vento, una barca di carta in una tempesta. Cos’é arriviamo noi e pensiamo di cambiare il mondo? Beata ingenuità. In ogni caso dal giorno dopo qualche voce ogni tanto si alza timida: Madame, no understand. Almeno é un inizio.
Eppure nonostante tutto, quello che ho vissuto é gioioso e ricco. C’é lo spettacolo teatrale svoltosi per strada, tutti seduti per terra, a cantare, suonare e recitare, decine di bambini che ridono di cuore e fanno a gara per farsi fotografare cantando l’inno indiano. Per la gente del villaggio noi bianche in sahari, per giunta, siamo un evento e si affrettano fuori dalle porte mentre passiamo per poterci dire la sola parola di inglese che conoscono e stringerci la mano. La nonna di un ragazzo ci abbraccia forte e ci dice: “Memory, don’t forget us” dopo che abbiamo mangiato a casa sua piatti preparati apposta per noi, non troppo piccanti.
E poi le ragazze che ci accompagnano a comprare il sahari, esperte come Vogue India su colori e tessuti e che spenderanno poi 25 minuti netti per abbigliarci con le pieghe al posto giusto, orgogliose del risultato e felici che abbia fatto scomparire la frangia che proprio in India di moda non é!
E la cerimonia di consegna dei diplomi, dove sia noi che loro siamo invitati a dire qualche parola sulle due settimane appena trascorse. E allora che Murugan, un altro campione di timidezza, tira fuori un foglietto sgualcito su cui ha scritto in inglese un lungo discorso maccheronico che conservero’ tra le mie cose. E noi siamo commosse di brutto. Florence tira su con il naso ed io nascondo il mio, di naso, dentro alla tazza del the, per non far vedere che ho i lucciconi agli occhi. E poi festa! E hanno un regaletto per noi. Florence due dei inguardabili che riposano seduti su un fiore di loto ed io un’ode all’insegnante scelta personalmente da Jenith iscritta su una placca di vetro! E risate e chiacchere e tante foto e ci prendono per mano, per un ultimo giro in strada.
Oggi sono qui, a Parigi. Penso che quei quindici giorni siano una goccia nell’universo e penso a come poter aggiungere altre gocce. E’ vero. Ognuno ritorna alla propria vita, ma sono sicura io, di non essere più la stessa. Per fortuna.





PS. per rispetto e discrezione, ho scelto di non mettere le foto che si riferiscono ai ragazzi di cui parlo. Sapete che sono nella mia classe, questo é sufficiente. So che capirete.

2 commenti:

  1. Hai trasmesso delle belle emozioni, ho le lacrime agli occhi anch'io. Non aggiungo altro perchè sarei banale. Bacione. Chiara

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  2. Grazie Chiara. E' proprio tutto cosi. Forse anche di più... bacio.

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Commenti: