mercoledì 28 ottobre 2009

La prefettura e la battaglia navale

Ci sono cose che quando le scopri ti rovinano la giornata: la maionese è finita e sei in un momento di disperazione profonda causato da un numero imprevisto apparso inspiegabilmente sulla tua bilancia (inspiegabilmente per te, perché se domandassi al tuo frigorifero avresti delle risposte molto precise e circostanziate corredate di orario, quantità e tasso calorico), esci dal dentista con la bocca semiparalizzata dall’anestesia e ti ferma una sordomuta per chiederti informazioni stradali guardandoti con disgusto perché siccome parli come una minorata pensa che ti stia prendendo gioco di lei (vi giuro che è successo davvero), ti accorgi che ti sta scadendo la patente e l’ultima volta che hai dovuto rifare un documento in Italia, a seguito del furto della borsa, hai dovuto mentire al commissario Bassettoni di via Poma sulla tua residenza per ottenere un certificato di sana e robusta costituzione (e robusta lo dici a tua zia).
Per quanto poco io guidi qui in Francia, mi rendo conto che comunque non posso prescindere dal rifacimento della stessa ma sono fiduciosa. Tempo fa Daniela l’ha rifatta e mi ha detto che è facile come bere un bicchiere d’acqua in Francia, magari qui come bere un bicchiere di champagne, troppo chic, anzi ho già la lista delle cose che mi servono che mi aveva fatto Daniela e in un attimo, siccome sono una nota maniaca dell’ordine, la ritrovo nella cartelletta “regali di Natale da riciclare, provenienza e destinazione ipotizzabili”, proprio di fianco a quella “Progetti dieta falliti in meno di quattro giorni”. Bene, ecco cosa devo avere: documento che certifichi la residenza, una bolletta, vecchia patente, documento di identità, il tutto in molteplici copie. Destinazione Prefettura di Parigi, sull’Iles de la Cité, apertura uffici ore 8.30, ma io alle 7.30 sono là in coda insieme ad un variegato patrimonio umano: è lo stesso ufficio in cui si chiedono i permessi di soggiorno, quindi sono l’unica persona bianca in coda e la gente mi guarda con diffidenza e vi assicuro che non è affatto bello sentirsi discriminati.
Dopo un’ora di attesa entriamo ed una signora gentile mi dirige verso lo sportello Permis de Conduire (chiarissimi questi francesi, permesso per guidare lo chiamano, mica patente, patente cosa vorrà mai dire? Devo inoltrare una richiesta all’Accademia della Crusca per far aggiornare la Treccani). Mancano solo quattro persone prima di me e per ingannare il tempo mi metto a rileggere l’elenco dei documenti necessari appeso allo sportello: due foto formato tessera, documento che certifichi la residenza, una bolletta, vecchia patente, documen.....FOTO???????? Foto? Picture? Photographie?
Avete presente quando un lampo di orrore vi attraversa la mente? Quando l’immediata percezione di aver commesso un fatal error bussa ai neuroni ed un brivido vi percorre la schiena? Quando anni e anni di precisione svizzera e di pignoleria si sgretolano come nei cartoni animati come cenere di fronte ad un volantino? Ecco, tutto questo sono io nell’istante in cui mi rendo conto che ad un passo dalla vittoria ho inciampato e sono caduta come dalle scale di Linate e mi sono dimenticata le fotografie, unica cosa non scritta sulla lista di Daniela perchè talmente scontata da non essere stata inclusa.
Snaturamento della Trincherini, qualcuno si deve essere impossessato del mio corpo e agisce inibendo la mia volontà, come in Visitors. Ora scoppio a piangere con il mio vicino di fila e gli racconto gli ultimi sei mesi della mia vita per muoverlo a commozione e poi gli chiedo se mi fa due autoritratti a mano formato tessera con sfondo bianco stile pittore di Montemartre.
Scrivo subito il seguente sms a Daniela, che denota il mio livello di disperazione all’idea di rifare la coda una seconda volta in un altro giorno: “Ma Daniela servono le foto nuove?”, la domanda dimostra il quoziente intellettivo di un cinciallegra svenuta, ma è l’incredulità che guida le mie dita, pero’ magari metti che mi stacchino dalla vecchia patente la foto della maturità, grattiamo via anche quella dell’abbonamento ai mezzi e due copie le abbiamo trovate. Daniela mi risponde che sono conosciuta sul territorio in italiano, ma siccome la mia notorietà non ha ancora varcato i confini, purtroppo servono le foto: spiritosona nel momento del bisogno. La sportellista, perchè intanto è il mio turno, mi guarda con il compatimento di una madre che osserva il figlioletto di tre anni che si è spalmato la nutella sul maglione e mi dice che nell’ufficio di fianco ci sono delle macchine per fare le foto tessera, mi da un numerello e mi dice qualcosa sul tipo di coda, che sottovaluto in quel momento, troppo felice per avere ancora una possibilità di recupero dell’errore. Il fatto comunque che esista una macchina per foto tessera mi evidenzia che di Fate Smemorine che vanno senza ce ne sono molte, quindi alla fine mal comune mezzo gaudio, i proverbi del nonno hanno sempre un gran fondamento e danno sempre un gran conforto.
Corro a immortalarmi, hanno persino una macchina cambia moneta, nel caso non aveste quattro euro in pezzi singoli, W la France, sono veramente efficienti, presuppongono di avere a che fare con una banda di incapaci trattandosi di stranieri, la grandeure francaise.... e ritorno ad affrontare la coda. Guardo il mio numerino M007 e rammento che la tipa mi ha detto sportelli dal 19 al 22.
Alzo la testa sullo schermo che proietta i turni e leggo quanto segue: T001X, P002G e altri numeri di questo tipo. Ora voi conoscete la mia particolare propensione al numero ed alle percentuali, ma ehm, di M nessuna traccia e di 007 tanto meno. Che si tratti dell’agente segreto? Devo camuffarmi per scovare la coda giusta? Dichiarare: “Sono Tricherini, James Trincherini?”. Chiedo al mio vicino di coda, che mi risponde in bulgaro qualcosa di non chiarissimo. Bene, come minimo mi hanno già chiamata e non me ne sono neanche accorta. Mi avvicino allo sportello 22 che mostra un numero di turno che non ha niente a che vedere con il mio, tipo CB75, pare il codice di un taxi, oppure si gioca a battaglia navale e ti danno la patente solo quando affondi un galeone. Cosa mi date per una barchetta a vela? Permis de conduire de la biciclette? E un transatlantico? Patente del camion? Per la nautica? Devo buttar giù la barca di Sarkozy con lui dentro? H41: acqua, F67: acquetta (ti ricordi il tuo compagno di banco che citava tutte le sfumature di temperature dell’acqua possibili? Acquina, acquona, noooooo, deserto! Fuochino, fuochetto, ma te possino...). Vabbè, l’impiegata del 22 mi dice che li ci devo andare solo quando la mia patente sarà pronta e che devo aspettare che chiamino il mio numero! MA DOVEEEEE??? Ma come faccio a sapere quando mi chiamano se devo giocare al sudoku e applicare un integrale per capire quale è lo sportello giusto, miseria ladra? “Guardi il monitor”, laconica risposta. Mi siedo e mi metto a fissare lo schermino, sembro un po’ psicotico-ossessiva con la testa in alto rivolta verso le scrittine rosse. Fino a che, tutt’ad un tratto appare un M003. Siiiii! Allora uscirà anche il 7 prima o poi! Continuo a fissare. M008. Mi viene da piangere. Ma dove li avete messi quelli che stanno nel mezzo? Ma sembra un test di intelligenza invece di un ritiro documenti e di sicuro non sto raggiungendo il punteggio massimo. Mentre medito sulla prossima mossa esce M004. Ma cos’è, buttiamo li i numeri a caso? Alla fine dopo dieci minuti esce il mitico M007 e mi presento con i miei documenti e la mia foto nuova di zecca. Il tipo gentilissimo raccoglie tutto, verifica e mi dice di andare allo sportello 22 (ecco che c’era lo sportello 22 allora alla fine) che nel giro di dieci minuti la mia patente nuova sarà pronta e durerà tutta la vita. Ma veramente? Non verificate neanche se ci vedo? Quanto peso e che colore ho gli occhi? Costo zero? Questo è progresso. L’unico lato negativo è che da oggi in poi mi potranno togliere tutti i punti del mondo... devo fare attenzione. Ma adesso che numerazione seguo? Devo recuperare il numero del banco frigo dell’Auchan? “Quello di prima” mi dice Mr. Dominique Bureau, laconico come sopra. Mi siedo e mi rimetto a fissare lo schermino, occhio spiralato, presente? Come nei cartoni animati. Improvvisamente M007, una seconda volta! Ecco perchè avevo visto M008 prima! E’ tutto chiaro! O cosi mi sembra... Lo sportello 22 mi rilascia il Permis de Conduire color rosa caramella con foto da serial killer. Esco, inforco una bici e torno in ufficio. Ma alla fine, ma a cosa mi serviva davvero le permis de conduire?

lunedì 19 ottobre 2009

8 MILES – Il film


Si, si, lo so già a cosa state pensando: ma come fa una che va a vedere Renoir a guardare il film di Eminem? In effetti me lo domando anche io. Pero’ forse un po’ di eclettismo.... o semplicemente un momento di smarrimento. Mi aspettavo un po’ più di musica invece sono rimasta delusa. Pare sia un film autobiografico sulla vita del cantante. Un giovane rapper che partecipa a gare di rap (appunto) in un noto locale della zona alla ricerca della gloria, peccato che abbia paura del pubblico e al momento della sfida non abbia il coraggio di aprire bocca. Kim Basinger interpreta la madre alcolizzata. Niente da dire. Ho deciso di guardarlo in inglese con i sottotitoli, mi pareva più corretto. Beh a parte che ho capito la metà, di questa metà un quarto sono parolacce: shit (almeno una ad ogni scena), bitch e fuck vanno via come il pane. Forse sono troppo vecchia per questo tipo di film. L’unico pezzo gradevole è la sfida finale rap. Con il riscatto del protagonista chiaramente. Voto? Boh... 5? Si, meglio non esagerare.

RENOIR – GALERIES NATIONALES DU GRAND PALAIS fino al 4 Gennaio

Francesca ed io decidiamo di vedere questa mostra di cui si è molto parlato persino sui quotidiani italiani, Repubblica 28 Settembre 2009, “Comincio ora a saper dipingere. Mi ci sono voluti più di cinquant’anni di lavoro per arrivare a questo risultato, che considero tuttavia ancora incompleto”, una splendida domenica pomeriggio di sole, noi insieme ad un altro centinaio di persone! Quindi affrontiamo anche un’ora e dieci di cosa! Se sapete di voler andare prenotate! Lo mostra comunque ci ha trattenute per quasi due ore.
Uomo di grande modestia Renoir, pare che accogliesse con grande piacere i giovani artisti che si recavano in costa azzurra a trovarlo per esprimergli la loro ammirazione. La mostra conta più di cento dipinti provenienti da Chicago, New York e da altri importanti musei europei, senza contare che ci sono anche sette Picasso, che era un grandissimo ammiratore di Renoir e trasse ispirazione per numerose sue opere dai quadri del francese. Renoir fu colpito da una gravissima forma di artrosi che lo costrinse ben presto su una sedia a rotelle e che ce lo fa vedere in numerose foto con le mani deformate dalla malattia in modo impressionante, si stenta a credere come potesse ancora reggere un pennello guardandolo. Una delle ultime sue tele Le Bagnanti, fu montata su un sistema a cilindri, in quanto essendo troppo grande, era l’unico modo per l’artista di riuscire a raggiungerne i vari punti. Eppure egli scrisse: « Je ne crois pas, sauf des cas de force majeure, etre resté un seul jour sans peindre. Non credo, salvo casi di forza maggiore, di essere restato un solo giorno senza dipingere. “
Che meraviglia. E che meraviglia quello che abbiamo visto. Grazia, colori, cura, emozioni, sensualità, comunicazione, varietà, genio, ricerca delle perfezione. Ogni singola opera comunica sensazioni intense. Penso di aver visto raramente una mostra cosi ricca ed emozionante. Se passate di qua non perdetevela. Voto 10, senza dubbio.

sabato 17 ottobre 2009

Cenerentola

Nella vita non si possono fare solo cose divertenti o culturali o sportive. Talvolta è necessario svolgere delle attività un po’ meno interessanti o formative ma imprevedibilmente rilassanti come le pulizie di casa. Qui a Parigi è una cosa di cui mi occupo personalmente, da un lato perché non saprei bene a chi lasciare le chiavi e dall’altro perché la mia dimora ha la dimensione e la foggia di un specchietto da borsetta, quindi assolutamente affrontabile. Ritengo si tratti inoltre di un’attività alternativa di meditazione zen che si esplicita pulendo i vetri, “togli la cera, metti la cera, togli la cera, metti la cera” , tratto da Karate Kid, ndr, come sempre cito fonti autorevoli e riconosciute dalle comunità scientifico-letterarie-cinematografiche o di allontanamento dei momenti di stress grazie alla manipolazione dell’aspirapolvere brandito come una spada o meglio ancora come un microfono stile Mrs. Doubtfire o ancora di gestione della leadership al femminile domando la lavatrice. Scendiamo un pochino nel dettaglio.
Ognuno di noi ha i propri credo religiosi e morali sia nella conduzione della vita privata sia nella gestione della polvere o del detersivo. Uno dei miei è che non voglio lavare niente a mano, un dogma praticamente. E fin qui nessun problema, dubito che ci siano schiere di donne che amino mettersi in ginocchio sulla riva di un fiume o sul bordo della vasca da bagno per strofinare un lenzuolo ammaliate dal profumo del Dash. Esistono anche moderni strumenti tecnologici, tipo la lavatrice, che dotati di centinaia di programmi adattano il loro funzionamento alle tue esigenze, solo che non sono sempre facilmente interpretabili, mi sembra di parlare come Piero Angela, da dove mi nasce questa passione assolutamente ingiustificata per l’elettrodomestico? Bianco sporco cotone, inteso come beige o inteso come asciugamano macchiato? Colorato sintetico, ma tutto dello stesso colore oppure posso mescolare senza pietà? E il misto dove lo metto? Ma parliamo di fritto misto? Buonissimo! Eccola li, quando si parla di cibo come si rianima. Ma il rosa chiaro è bianco o colore? E la biancheria intima nei delicati anche se il reggiseno è quello sportivo? Ma non è coerente con la sua missione! Lana, tende, seta, rosso sangue, verde rana, giallo banana. Ma che confusione. Aggiungo anche che vivendo da sola mi serve un anno per riempire una lavatrice per tipologia di bucato e questo significa che tempo un mese non ho più niente da mettermi perché sta tutto nel cestone della biancheria sporca. Essendo io nota finance, decido per un approccio pragmatico e semplicistico, nessun file excel, semplice divisione per due: bianco e altro, senza distinzione di tessuto, forma, filatura, razza, estrazione sociale, prezzo, colore o religione. Temperatura standard 40° C, centrifuga a manetta, ma quella di frutta o quella di verdure stile ACE? Smacchia a fondo senza strap, con la carota e con il porro.
Altro dogma: amo il rischio. Certo bisogna però prestare un minimo di attenzione nella segregazione del bianco da tutto il resto. Quindi l’altra sera, colta da un momento di entusiasmo e motivazione parto con il carico “candore resistente” ergo a 60° C e cosa aggiungo alla fine orgogliosa come se avessi appena messo una ciliegina sulla torta? O comprato una borsa di Chanel a cinquanta euro? Un camicia di seta tricolore marrone, arancio fuoco e panna. MA SI PUO’ SAPERE COME DIAVOLO MI E’ SALTATO IN MENTE DI METTERE UNA CAMICIA ARANCIONE NEL BUCATO BIANCO? E SOPRATTUTTO NON DIRE CHE NON TE NE SEI ACCORTA PERCHE’ LO HAI FATTO APPOSTA E HAI ANCHE OSSERVATO LA SUA SPARIZIONE NELL’OBLO’ CON ORGOGLIO E SODDISFAZIONE.
Mi duole ammetterlo ma è cosi. Penso si sia trattato di un momento di trasgressione, di un afflato rivoluzionario, di una ricerca di libertà arcobaleno. Direi piuttosto di una pirlata colossale. Risultato? Un bucato Hare Krisna, miseria ladra. Tutto quello che ha accompagnato la camicia si è tinto di melone, chiaramente non omogeneamente, neanche a dirlo, ma a macchie sporadiche, tipo patologia infettiva, tutto tranne la camicia indiana da un euro e cinquanta, ci avrei potuto scommettere. Completo intimo bianco in microfibra acquistato due settimane fa, la maledizione del primo reggiseno, di solito diventano grigi al terzo lavaggio, stavolta abbiamo almeno cambiato la tonalità, camicia bianca con gemelli che adoro, asciugamano, canotta e pancera...ci avete creduto per un attimo eh? Era solo un paio di calzini, infami. Potrei prendere tutto e buttare nel pattume. Ma tento con il piano B: la candeggina, che in Francia, si chiama Eau de Javel e che ci ho messo circa un anno e mezzo a capire come trovarla grazie ad un rabdomante specializzato e aprendo tutte le bottiglie al supermercato per annusare il contenuto come un formichiere.
Riempio due catini, aggiungo la fatale sostanza e lascio passare la notte in attesa del miracolo. Ho scelto la candeggina profumo aria di montagna e il mattino seguente la mia camera, che sta attaccata al bagno profuma di mentuccia e stelle alpine, sono ottimista fino a che non vedo il risultato: tutto esattamente come prima. Maledizione, stramaledizione fetente color agrume e non si può stare nel locale a causa dell’odore che perfora le narici. Sciacquo tutto, stendo e mi dirigo in ufficio, non mi rassegno, devo trovare un piano C. Intanto ho le mani che puzzano cosi tanto che sembra stia entrando in ufficio Cenerentola gusto Eucalyptus. Ostento un’aria indifferente, apro la finestra e mi spalmo il disinfettante anti influenza cercando di mascherare l’aroma. A pranzo usciro’ a comprare la tinta per tessuti e trasformero’ tutto in azzurro jeans. L’importante è non arrendersi mai. Infatti appena arrivata a casa, seguo le istruzioni, metto le vaschette colorate nella lavatrice, aggiungo mezzo chilo di sale grosso che mi è costato quattro euro perchè è un sale speciale... si speciale per le gine come me che lo comprano perchè hanno distrutto un bucato. Comunque inserisco le cose rovinate e faccio partire il programma. Dopo un’ora estraggo la mia camicia melone convertita in una camicia color azzurro jeans ma tempestata di macchie blu. E tutti gli altri capi hanno le stesse sembianze: puffi con il morbillo. Ma porca di quella miseriaccia infame! Non mi arrendo. Ridiscendo al supermercato, compro doppia dose di colorante nero e mezzo chilo di sale da cucina, chi la dura la vince cosi dice il proverbio? Ecco sorvolo sul fatto che alla fine di tutti i trattamenti la camicia sarà costata più di un capo d’alta moda firmato Jil Sander. Rimetto le vaschette in lavatrice, aggiungo il sale, un
pizzico di pepe, scorze di limone gratuggiate, una spolverata di grana, besciamella e... ops mi sono persa via un attimo, insomma butto la roba dentro e riattacco il programma. Passa di nuovo un’ora, un modo interessante di passare un pomeriggio non trovate? Dovrei scrivere ad una rubrica sul tempo libero, e quando riapro lo sportello: miracolo. Le cose sono diventate tutte nerissime, beh certo di che colore dovevano diventare? Rosso ciliegia con un colorante nero? Talvolta mi sorprendo del mio acume, della mia intuitività quasi scientifica. Ma che belle che sono! Persino la camicia da notte rosa che avevo battezzato con un pennarello rosso e diventata nera con gli elasticini beige, fa molto Armani. La tshirt bianca maculata è diventata nera con le cuciture bianche e potrebbe tranquillamente essere un capo Dolce e Gabbana mentre la famosa camicia con le pieghine sul petto è splendidamente nera, anche lei con le cuciture bianche, ma fa molto chic, stile Pirati dei Caraibi, bellissima, sono molto orgogliosa di me, devo solo mettermi una benda sull’occhio, trovare una spada, indossare i miei stivali a punta e trovare un vascello, poi sono pronta per recarmi in ufficio. Dovete tingere qualcosa? Passate di qua, che al terzo tentativo becchiamo anche il colore giusto. Comunque visto che sbagliando si impara direi che l’insegnamento di questo episodio è quello di usare sempre e solo colori molto scuri per colorare. Come? Non ho capito, c’è qualcosa di più importante? Ah, che magari è meglio non mettere le camicie arancioni nei bucati bianchi, si scusate, questo punto lo davo già per acquisito. Non da me di certo, ma ho fiducia in voi uomini e donnine di casa. Regine e reginetti del focolare, principi dell’elettrodomestico.
Un altro mio dogma sono i vetri. Lavarli una volta a stagione, dove per stagione intendo Autunno/Inverno e Primavera/Estate, come nella collezioni di alta moda, decisamente cool. Mia madre lo sa e per questa ragione ha ridotto l’affetto che nutre nei miei confronti, mi disconosce quando dichiaro questa cosa, so che in questo momento sta chiamando il mio comune di nascita per farsi togliere la maternità. In fondo, siate onesti, a Parigi, dove piove ogni giorno e dove non ho uno straccio di persiana, quanto dura il mio brillantissimo vetro? Massimo mezza giornata, quindi è uno spreco di energie, ci sono cose più utili da fare: una torta di carote per restare in tinta con il bucato, leggere il volantino dei saldi delle Galerie, pettinare le bambole! Si pulisce seguendo la pianificazione suddetta o nel caso di visite straordinarie, quando viene mia mamma appunto, direi più che sufficiente. E poi ci sono sempre le tende, basta tirarle in caso di emergenza e millantare una rara malattia della pelle a causa della quale non potete restare a contatto della luce. Strategica professionista della menzogna e della dissimulazione.
Passiamo allo stirare. Questa è un’attività che mi diverte moltissimo, basta svolgerla guardando la televisione e fare in modo che non si accumulino più di due lavatrici alla volta, altrimenti il carico diventa ingestibile e poi con due, arrivi giusta giusta a vederti un film in dvd. Piccolo accorgimento, se nel film l’attore principale è Brad Pitt, prestate un po’ di attenzione a dove fate scorrere il ferro, se riuscite a tenerlo lontano dal corpo, mentre sbavate davanti al video, con gli occhi a cuore è meglio. Una mia amica, una che conosco abbastanza bene, che vive a Parigi, che corre la dieci chilometri, si è impressa una riga di fuoco sulla pancia mentre stirava in costume a luglio. Non mi ricordo bene come si chiami, magari non la conoscete neanche....

THE MAID (La Bonne) - Film

Premio del migliore film straniero al Festival Sundance 2009.

E devo dire meritatissimo. Ci sono andata con un po’ di scetticismo pensando di andare a vedere una cosa super impegnata che ti fa venire la bolla al naso dopo dieci minuti: film cileno, in lingua spagnola, sottotitolato in francese, très chic ma che sonno. Invece assolutamente no. Un piccolo cameo. La storia di Raquel, una ragazza che fa la cameriera nonchè tata in una casa e la cui vita è completamente dedicata alla famiglia per la quale lavora. Solo che ad un certo punto questo rapporto cosi esclusivo la fa entrare in un tale stato di possesso che le cose degenerano al punto che quando le offrono di assumere un’altra cameriera per aiutarla nei lavori, lei fa di tutto per farla fuggire e i rapporti con la famiglia cominciano ad inasprirsi. Questo fino all’arrivo di Lucy, l’ennesima assunta che le deve resistere, ma Lucy è diversa. Non vi dico altro, perchè non ve lo voglio guastare. Merita davvero. Un film di una durezza incredibile e allo stesso tempo con delle punte di umanità straordinaria. Un film che fa riflettere sulla vita di queste donne che vengono sradicate dalla loro famiglia e che dedicano tutta la loro vita ad una famiglia che le adotta e che loro adottano, ma che resta non la loro. Voto 8.

7 ANIME – G. Muccino

http://www.youtube.com/watch?v=gFTK1bAhBz8


Bocciato. Strano detto da me vero? Beh ecco in breve la trama. Un uomo, Will Smith, in un incidente stradale uccide sette persone e la sua redenzione consisterà nel cambiare la vita di altre sette. Se siete depressi non guardatelo, perchè vi aumenterà la depressione. Se siete di ottimo umore non guardatelo perchè diventerete depressi. Buonismo a gogo, sentimentalismo a fiumi, una vera americanata direi, il fatto è che non fa neppure piangere, rimani a bocca aperta perchè non credi a quello che vedi. Strano che io sia cosi radicale vero? Pero’ non mi è piaciuto proprio per niente, del tutto improbabile tra l’altro, non lascia niente. Neanche Autumn in New York era riuscito a fare peggio... Insomma voto 5. Eppure ha incassato un sacco di soldi in America pare. Boh. Sconsigliato.

lunedì 12 ottobre 2009

Il gioiello olistico

Di solito quando intervistano i comici e chiedono loro da dove traggono ispirazione, la risposta è: dalla realtà, dalle cose che capitano tutti i giorni. Mostriamo scetticismo a questa dichiarazione, ma basterebbe fare un pochino più di attenzione o semplicemente osservare cosa accade nella mia vita per rendersi conto che in effetti si tratta di una sacrosanta verità.
Lunedi ricevo una mail dalla mia amica Gabriella che mi invita a vedere una mostra di gioielli organizzata da una sua conoscente. Decisamente interessante, quindi coinvolgo anche Roberta nell’evento che tra le altre cose è un’esperta sull’argomento della massima levatura, insieme abbiamo cercato di farci stimare e comprare un diamante da ottantaquattro carati di proprietà del sultano del Top Capi a Istambul, ma chissà come mai non ce lo hanno neanche fatto provare...
Come al solito approssimativa e superficiale, non apro il link allegato che spiega l’evento e mi reco all’appuntamento ignara e impreparata. Gabri mi racconta che ci sarà una parte introduttiva in cui verranno spiegati i benefici dei gioielli. Ma perchè qualcuno mi deve anche spiegare perché procura gioia indossare un monile? Sfoggiare un solitario o esporre un collier? Cosa diceva Marilyn? Diamonds are a girl best friends e noi ci fidiamo di lei, mica devo convincermene, sono già straconvinta. L’esposizione si svolge in un centro yoga ed entrando mi tocca togliere le scarpe, scendere dal tacco otto e appollaiarmi su un cuscino zen. Comincio a comprendere. L’oratrice spiega che il corpo è fatto di onde, non siamo materia, siamo antimateria. O santiddio, ma dove sono finita? Ora mi farà levitare nella sala come una pagnotta? Poi tenta l’approccio scientifico: sapete perchè quando schiacciate l’interruttore la luce si accende? Beh tecnicamente io no, pero’ Edison lo sa, se lo chiami te lo spiega, no? Ecco cosi come accettate di non sapere perché si accende la luce (ma non è che lo accetto è che c’è una spiegazione scientifica dietro, mica un evento paranormale!) accettate anche l’esistenza delle onde che il vostro corpo propaga e che si diffondono intorno a voi. Roberta mi guarda è sghignazza e io mi trattengo ma la lacrima da riso mi scende sulla guancia.
Poi spiega che è il gioiello che ci sceglie, non siamo noi a scegliere lui. Su questo non c’è dubbio, ora le chiedo se puo’ chiamare il mio fidanzato e tutti i fidanzati del mondo e spiegarlo anche a loro che sarebbe un’azione decisamente utile per l’umanità femminile e risolverebbe un sacco di situazioni conflittuali.
Abbiamo anche il momento test. Testiamo come il gioiello fa convergere la nostra energia nel nostra ciakra (eh? Cosa è un ciakra? Ha del cioccolato sopra? E’ di sfoglia? Piccante? Ripieno? Si puccia nel caffè?) e rafforza l’equilibrio.
“Scegliamo una persona a caso nella sala. Si tu, la ragazza con i capelli lunghi che sta sorridendo”, in realtà sono io e sto sghignazzando con Roberta, ah miseria ladra, ma allora sono io, accidenti! Ora rido già di meno. Mi alzo e mi dirigo al centro, con l’entusiasmo di un leghista in viaggio per Siracusa. Mi fa scegliere un gioiello e mi fa portare il cellulare, conduttore di energia negativa e destabilizzante e poi davanti a tutti testa il mio equilibrio con e senza il monile.
Piedi uniti, senza niente in mano, mi tira per un braccio ed io mi inclino sollevando il braccio opposto al lato verso il quale mi tira. “Vedi? Vedi questo è il tuo equilibrio naturale.” Prendo il cellulare che tengo con la mano opposta a quella con la quale mi tira verso un lato e lo appoggio sul cuore. Rifa l’esercizio e ovviamente a momenti cado. “Visto? Visto? Il cellulare emana onde negative che minano la tua stabilità.” Beh certo cara, gran visir della meditazione, visto che non posso alzare il braccio per controbilanciare! È scientifico non è l’energia. Non vi racconto neanche di Roberta che ci guarda allibita e di Gabriella che con la scusa di una telefonata è uscita in cortile e mi ha abbandonato con la Santona. Terzo test. Indosso l’anello e tengo il cellulare. Lei mi tira di nuovo ma stavolta stranamente non mi muovo di un centimetro. In effetti la cosa al momento mi lascia incredula, ma sono certa che documentandomi trovero’ una spiegazione. L’anello mi ha scelto. Il mio ciakra è salvo. Lo devo comprare quindi! Torno al mio posto. Certo non è niente male avere un’autorizzazione scientifica allo shopping. Devo capire se funziona anche con una borsa di Dior.... mi sento che solo a scriverlo mi si è allineato il ciakra.
Finito l’esperimento l'Ispirata chiede delle testimonianze. Una signora dichiara che domenica mattina si è svegliata ed era sotto tono, che ha indossato il suo ciondolo e improvvisamente si è sentita piena di energia. No, dico, non è che in mezzo ci è passata la colazione e un caffé fatto come l’Italia comanda? Vabbè. Lascio perdere.
Sessione di presentazione finita, possiamo finalmente andare a sceglierci i gioielli. Mi viene subito in mente che posso prendere qualcosa per fare un regalo alle mie amiche, solo che se il gioiello deve sceglierle come diavolo si fa se lo scelgo io? No, non si puo’ regalare, semplice.
Chiedo indicazioni con un filo di ironia nella voce e l’esperta mi dice che non c’è problema, che testerà me e sentirà se il regalo prescelto va bene per la destinataria. Osmosi pura. Sono sempre più curiosa.
Scelgo un’amica, scelgo una cosa e poi gliela sottopongo. La scena che si presenta ad un visitatore esterno è la seguente: la meditatrice/venditrice zen ed io, una di fronte all’altra con in mezzo uno sgabello, sui cui è posato il bijoux, la mia mano destra che lo tocca, la mia mano sinistra appoggiata sul cuore. Lei con una mano tocca la mia che tocca il bijoux e con l’altra regge un pendolino come quello di Mosca. Roberta cammina con aria indifferente intorno a noi facendo finta di contare i nodi nel parquet. Io che invece di pensare all’amica a cui devo fare il regalo per trasmettere il flusso di onde, penso a voi, al blog e a cosa scrivervi appena torno a casa. Gabriella, la donna più PR del mondo, sta al telefono con un giornalista di TF1, tiene in attesa il suo ventesimo corteggiatore ed intanto negozia l’acquisto di un foulard sulla terza linea.
La ragazza chiude gli occhi, io con un occhio chiuso guardo lei, con l’altro guardo Roberta, medita un attimo, comincia a far muovere il pendolino che oscilla circolarmente (Foucault si sta rigirando nella tomba nello stesso istante per il ribrezzo) e dichiara: tu vuoi molto bene a questa amica. No guarda a me di solito le amiche mi stanno un po’ sui maroni. Certo che è proprio veggente. Profetica. Sento, sento, che.... che questo regalo le piacerà. No, ora ditemi quante probabilità c’erano che mi avrebbe detto che il regalo che avevo scelto per una persona che conosco da dieci anni, le avrebbe fatto schifo! Mancasse altro!
Insomma l’accendiamo e procedo all’acquisto rassicurata dal fatto di sapere che ho una vaga idea del gusto delle persone a cui voglio bene e che conosco da una vita... Insomma l’evento volge al termine. Con il nostro acquisto sotto il braccio usciamo in strada, un quartiere, osservato ora con un po’ più di calma, in cui ha del miracoloso riuscire ad arrivare non scippate fino alla metropolitana, magari potremmo andare via a cavallo di un tappeto volante, tanto il flusso energetico di cui è fatto il nostro corpo non pesa!

TAGLIA E CUCI – M. Satrapi

Un libro, anzi no, un fumetto. Un gruppo di donne iraniane che si incontrano per un thè nel più tranquillo dei pomeriggi e in pochi minuti caustiche, distruggono con grande umorismo e leggerezza le loro vite matrimoniali raccontandosi allucinanti eventi che le hanno caratterizzate o quelli di altre amiche. Strettamente legate ad una cultura maschilista gretta e meschina che ancora vive nel loro paese e a consuetudini cosi lontane da quelle occidentali, per loro spesso il matrimonio è una fuga per diventare poi un nuovo carcere. Ironico, sfacciato, talvolta un po’ volgare, divertente, amaro e doloroso. Originalissimo, sicuramente leggero’ anche il suo primo libro, Persepolis, da cui è stato tratto anche un film. Voto 8.

KILL BILL 1 e 2 – Quentin Tarantino

Kill Bill 1


Kill Bill 2


Sangue a fiumi, come in tutti i fumetti che si rispettino. Grandi combattimenti, spade cosi affilate da poter tagliare il marmo. Un buono, anzi una buona, Uma Thurman, magnifica, che si deve vendicare e un sacco di cattivi, ma cattivi sul serio. I cattivi sono anche bellissimi spesso: una Lucy Liu cosi spietata da tagliare la testa ad un associato solo per aver osato contraddirla. Una Daryl Hanna senza un occhio, piratessa assassina che uccide con un Black Mamba, il serpente più velenoso del mondo. Un David Carradine cosi odioso da farci venire il dubbio che in fondo un po’ di bontà ci sia.... ma il dubbio sarà spazzato via? Ho fatto la rima, ma è casuale, non fateci caso. Il primo film molto più combattimenti e molto più Giappone e Samurai, il secondo più lento, più carattere dei personaggi, più vecchio West. Colonne sonore capolavoro, nel secondo addirittura un pezzo di Sergio Leone perchè le scene lo richiedono a gran voce. Tarantino aveva previsto che si trattasse di un solo film, ma il progetto assunse dimensioni tali che la casa di produzione decise di dividerlo in due parti che non si somigliano ma che si completano. Se una sera non volete pensare a nient’altro ve li consiglio vivamente. Voto: Kill Bill 1 7 ½ e Kill Bill 2 7.


domenica 4 ottobre 2009

Odissea, ovvero la 10 chilometri

Nella vita della gente capita che ci sia la prima Dieci Chilometri. Ecco, nella mia questo é successo stamattina e inspiegabilmente sono ancora viva per raccontarlo.
Mi alleno da meno di un anno, correndo un paio di volte alla settimana con l’entusiasmo della tartaruga Franklin: la bella tartaruga che cosa mangerà? Chi lo sa, chi lo sa? La tartaruga un tempo fu, un animale che correva a testa in giù, come un siluro filava via, che ti sembrava un treno sulla ferrovia. Ve la ricordate? Era di Lauzi e vi assicuro che non é una battuta, so che la mia cultura musicale vi lascia sempre senza parole, comunque poi la tartaruga si schianta contro ad un muro, ecco da dove viene tutta la mia prudenza.
Prima domanda: ma come diavolo mi viene in mente di partecipare ad una gara che si chiama Odissea? Il nome di per sè dovrebbe scoraggiare gli arditi, ma no, una buona dose di autolesionismo mi stimola alla sfida. Ma perché dico io? Ma non posso andare a mangiare un gelato come tutti gli altri? No, perché a Parigi il gelato fa schifo. Sfogliare le margherite al parco domandando Piove domani o Piove martedi? Come se ci fosse qualche dubbio sulla risposta: piove tutti e due i giorni, evidente domanda trabocchetto. E perché no, andare alla ricerca di un museo chiuso per sciopero? Questo no, perché l’incarico terminerebbe dopo pochi istanti data la proverbiale propensione del francese allo sciopero. Quindi si va a correre punto e basta. Alza il sedere da quel divano e vai a consumare le calorie in eccesso che si accumulano in modo evidente sul tuo corpo. Anche perchè la vera ragione della corsa è decisamente più motivante: la raccolta di fondi per la ricerca contro il cancro al seno. Quindi non ci sono scuse che tengano. Metti le nike e fuori dal letto.
Questa settimana sono andata un paio di volte ad allenarmi affrontando i dieci chilometri, proprio per non dover ricorrere alla croce rossa dopo i primi tre durante la manifestazione e mi rendo conto che la mia velocità é pari a quella di Nonna Abelarda mentre guarda una vetrina, certo che correre dovendo aspettare che il semaforo diventi verde non é proprio il massimo, ma almeno queste brevi e sporadiche soste mi lasciano il tempo di abbassare le pulsazioni da 234 a 205.
Insomma quando la sveglia suona alle sette io sono già con l’occhio pallato da almeno mezz’ora, agitata come una bertuccia in gabbia. Ma sei scema? Ma guarda che non è che devi arrivare prima, devi solo arrivare in fondo in modo dignitoso, ti agiti per cosa? Non lo so, lo spirito d’avventura, l’affrontare una cosa nuova e poi é bello essere agitati dai: passami la bottiglia dei fiori di Bach che mi faccio un cicchetto prima di partire, ma non é che mi fanno il test antidoping magari e mi squalificano? Vai vah...
(Star di TF1, il presentatore del TG!)
Insomma alle otto e trenta sono al punto di raduno con alcune colleghe e sia ringraziato il cielo scopro che non correro’ da sola, Veronique, Brigitte e Agnès correranno con me. Alle nove facciamo quindici minuti di riscaldamento con la musica prodotta da un gruppo di ragazze che suonano strumenti a percussione con un ritmo decisamente stimolante. Dopo cinque minuti sono già stanca e sento che questo sforzo gratuito mi toglierà le energie per affrontare l’ultimo chilometro. Quindi mi muovo ma senza troppa convizione, un po’ come fare ginnastica in playback, stacco appena i
piedi dal suolo, muovo le braccia come Cecchetto, ma i piedi rimangono saldi al suolo, minimizzazione dello spreco energetico, un po’ come la Marini che si esibisce al Bagaglino.
Ho anche un microchip nella scarpa che segnalerà il mio tempo, mi sento superprofessionale con questo aggeggio tecnologico, ma soprattutto per la prima volta, sapro’ quanto diavolo ci metto per coprire la distanza visto che quando lo faccio da sola non sono sicura nè dello spazio nè del tempo, il cardiofrequenzimetro la maggior parte delle volte mi dice che il mio cuore non ha battito, praticamente una salma in movimento, sono morta e non lo so. Certo che un controller che non é sicuro dei numeri suscita qualche perplessità, lo ammetto.
Ore nove e trenta, si parte. Siamo più di cinquemila e noi di certo non siamo tra le prime. Dopo i primi cinquecento metri, sono attonita e incredula ma.... MI SCAPPA LA PIPI’. Ma noooooo! Ma non bevo da una settimana come in India per non avere stimoli, ma come é possibile? Come faccio a fare i restanti nove chilometri e mezzo? Ho un’idea: posso sudare tanto, mettermi a piangere, soffiare il naso e favorire l’uscita di liquidi da altre parti, sono astuta come una faina, ora mi sforzo, ma non troppo perché se no me la faccio addosso.
Al chilometro due perdiamo Brigitte e Agnès che sono un pochino più lente mentre Veronique ed io procediamo allo stesso ritmo. Veronique comincia a parlarmi, dice che il buon ritmo di corsa si misura da questo, devi poter fare conversazione. Ora, detto a me che normalmente bisogna spararmi per farmi star zitta, parrebbe ridondante, ma in questa occasione mi sento molto meno portata allo scambio vocale del solito. Quindi mi limito a brevi risposte, tipo oui, non, clairment, pas vraiment, mais c’est sure, con il timore che una parola di troppo mi liberi la vescique.
Al chilometro tre, mi entra un pezzettino di legno nella scarpa da tennis, che si piazza sul dorso del piede destro, proprio sotto la caviglia, incastrato nella calza e trattenuto dalla stringa che ad ogni passo mi si conficca nella carne, ma non ci si puo’ fermare, chi si ferma é perduto. Quindi stoica procedo, all’arrivo avro’ le stigmate per questo mio sacrificio doloroso.
Chilometro cinque, c’é un area di ristoro, ma no! Non l’autogrill, pero’ si distribuiscono acqua, frutta secca e biscottini. Ancora adesso mi chiedo cosa mi abbia trattenuto dall’avvicinarmi, forse la folla di cavallette impazzite che ho visto gettarsi sulle prugne secche (ma cosa succede come conseguenza fra dieci minuti? Turche a go go nascoste nel bosco? É per ridurre il numero dei concorrenti?) o i simpatici burloni che si sono lanciati bicchieri d’acqua addosso pensando si trattasse di una gara di gavettoni o il bambino prodigio sorpreso a sbocconcellare la galletta al cioccolato e poi a rimetterla dentro al piattino mescolando per nascondere il misfatto... Insomma, come il bacio del crocifisso in processione diffondeva la peste a Milano, cosi l’accalappiamento della cacahuète diffonde la Grippe Porcine a Vincennes, stasera tutti a casa infetti e da domani caccia all’untore.
Al chilometro sei, dal mio mp3, fedele compagno di mille avventure, parte una canzone che dice: “I need a miracle”, lo so, é un segno del cielo, anche lassù sanno che sto per stramazzare al suolo, tra l’altro sempre con riferimento al concetto di numero, sono quasi certa che questa tappa non sia di mille metri, mi sembra che la distanza tra il sesto e il settimo sia almeno di duemilacinquecento, potrei scommetterci. Lo fanno apposta, mettono delle tappe diseguali, per confonderti, per farti ritirare, infami. Ma noi non si cede. The show must go on.
Chilometro otto, perdo Veronique, che correndo a bordo strada costeggiando il parco, viene catturata da un nuvola di polvere sollevata da quelli che sono davanti a lei. Io sono a favore dell’asfalto, anche se so che cio’ avrà delle conseguenze irreparabili sulla mia schiena quando saro’ in casa di cura fra qualche anno e la dieci chilometri la faro’ con la gamba di legno a cavallo di una carrozzella.
Chilometro nove. Qualcuno afferma che stamattina prima di partire io abbia dichiarato: dall’ottavo chilometro tiro come una pazza? Ma siete proprio sicuri che l’abbia detto io? No, perché guarda che non c’ero mi sa, stavo guardando lo stand di Dior (giuro che c’era lo stand di Dior e non dite che sono andata per quello perché non lo sapevo e poi non avevano neanche una borsetta o un foulard). Ma no, ho detto che all’ottavo tiravo a campare, non avete capito. Insomma al nono ho le visioni, vedo i sette nani: Rotolo, Tombolo, Strangolo, Soffoco, Rantolo, Rincorrilo e Ricoveralo. Mi appare anche Bolt, travestito da detersivo forse con esplicito riferimento allo stato della mia chicchissima maglietta rosa Odissea ormai fucsia di sudore, mi sembra che il traguardo si allontani invece di avvicinarsi, ho anche visto la striscia della mezzeria sulla quale corro per non perdere l’orientamento stortarsi a onda, fare un fiocco e andare su e giù tipo parabola per allungare la strada. Ne sono certa. Devo smetterla con i biscotti al burro per colazione, sono allucinogeni.
1 ora 6 minuti 2 secondi, tempo di arrivo. Una vera chiavica. Presto scopriro’ la mia posizione in classifica, mi basta essere tra i primi tremila, minima pretesa. La graduatoria nelle prossime comunicazioni.
Ci ritroviamo tutte al punto di partenza soddisfatte e sorridenti, un veloce giro di shopping allo stand dell’organizzazione (le vere professioniste del portafoglio si vedono in questi momenti), tanto più che tutto quello che spenderemo andrà in beneficienza, quale migliore giustificazione? E dopo un giro di tartine siamo pronte per tornare a casa. Ovviamente di corsa..... come? Non é vero? Miscredenti. Eh? Mi spunta il biglietto del metro dalla tasca? Chi? Eh? Scusa mi suona il telefono e poi avevo il vibracall e non ho sentito, si il cane mi ha mangiato il compito.... clic.

Les Indispensables de La Dispensa di Miranda Martino

Apro il mese di ottobre presentandovi Les Indispensables de La Dispensa. Anna. Ed io, Miranda. Siamo la prima linea, le front women, il biglietto da visita della Dispensa. Dopo aver letto i nostri profili capirete quindi perché il resto dei soci è in analisi.Ed eccole qua, Madame Parasol e Madame Poubelle. Mme Parasol: la figlioccia di Yul Brinner, la soldato Jane della Bricca, insomma la femme rasée. È l’addetta al montaggio e al posizionamento dell’ombrellone nel dehor. Ombrellone che, aperto, è grande come la piazzetta di Capri ed è anche tecnologicamente avanzato, si apre e si chiude a manovella. Madame Parasol c’est moi. E, devo confessare, a me l’ombrellone fa paura. Nonostante la base di 15 kg che dovrebbe farlo aderire al suolo come una calamita su un frigo, appena soffia un alito di brezza di mare il nostro oscilla come una canna al vento. E cade anche! Ha quasi ucciso il cactus del vicino dehor (e per fortuna non ha fatto vittime umane). E una volta la bricca, e una volta il parasol, il mio destino è “domatrice di oggetti imbizzarriti”. L’altra metà di questo cielo nizzardo è Madame Poubelle. Ha diverse caratteristiche che potrebbero farvi ricordare di lei: labbra rosse, occhiali che sembrano nati con lei tanto le stanno bene ma, soprattutto, una massa di ricci rossi. Infiammati e vivaci come i suoi pensieri. Provate ad immaginarci insieme: la liscia e la gassata. Mme Poubelle è l’addetta allo smistamento immondizia, compito che svolge con grazia ed eleganza, gettando quotidianamente sacchi di “spazza” rigorosamente abbinati agli abiti che indossa, tenuti in mano come se fossero borsette di Vuitton. Le nostre due signore si occupano anche della gestione generale della Dispensa e del rapporto con i clienti. Ecco. Forse avrò già avuto modo di scrivervi che entrambe parliamo un francese quantomeno pittoresco. Io l’ho studiato e mai praticato, ho una pronuncia che fa venire non già la pelle d’oca, le smagliature! E, malheureusement, confondo le poche parole che conosco. Un esempio eclatante: ad un signore che mi chiedeva se un piatto del menù era caldo o freddo ho detto che poteva scegliere ,ma io consigliavo di scaldarlo. Scaldare si dice “chauffrer” io invece ho detto “si vous voulez on peut le chausser” che suona tipo “se lo desidera, signore, il suo bollito lo possiamo indossare” o meglio, calzare. “Chausser” infatti, pare che significhi indossare una scarpa o qualcosa del genere. Il mio cliente ha detto “oui”. Poi avrà raccontato agli amici che alla Dispensa hanno un ottimo bollito, merito di una tecnica innovativa: lo massaggiano con le dita dei piedi prima di servirlo. Anna invece non ha mai studiato francese dunque, fa un po’ quello che facciamo tutti noi apprendisti di una nuova lingua: traduce letteralmente dall’italiano, con risultati esilaranti. Anche in questo caso, un esempio. La nostra chiedeva “la penna per scrivere il numero”, la pen pour marquer le numero”. Penna si dice “stilo”. La pen, letto così come lo vedete in francese suona come un’altra parola “lapin”, coniglio. E dunque “hai un coniglio per segnare il numero?” . Vi confesso che anche io vi scrivo con lapin dal treno, è un casino tenerlo fermo! Insomma questa lingua d’oil ci crea qualche problema, parliamo meglio la lingua dei sott’oil. E anche il nostro italiano ne risente. Vi lascio pertanto con questo gioiello. In un momento di entusiasta conversazione sui nostri prodotti abbiamo detto “potremmo usare le nostre cipolline boreali”. Questa non ve la spiego, so che la capirete. Vi invito solo a venire a provarle le nostre cipolline. Se vi concentrate e siete fortunati potreste vedere il raggio verde.

IL PICCOLO PRINCIPE – A. De Saint Exupéry

Letto, riletto, straletto, praticamente ogni tre o quattro anni lo riprendo, lo rileggo e ogni volta riesce ad emozionarmi perché scopro qualcosa che non avevo mai notato prima, stavolta l’ho letto in francese: é dolce e scorrevole. Capitolo XVII. Il piccolo principe al serpente: “Ma dove sono gli uomini? Si è un po’ soli nel deserto...”, “Si é soli anche tra gli uomini...” disse il serpente.
E ancora, Capitolo XXI, il mio preferito, l’incontro con la volpe: “Addio” disse la volpe, “Ecco qua il mio segreto. E’ molto semplice: vediamo bene le cose solo con il cuore. L’essenziale é invisibile agli occhi. E’ il tempo che hai speso con la tua rosa che la rende importante. Sei responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Sei responsabile della tua rosa”.
Insomma come non innamorarsi di un piccolo principe che ama i tramonti e che un giorno in cui si sente particolarmente triste riesce a vederne addirittura quarantaquattro? Un principe che pretende sempre una risposta alle sue domande ma che non sempre risponde a quello che gli viene chiesto? Un principe che incontra un re che regna sul niente, un contabile che pensa di possedere le stelle perché le ha contate (e vi giuro che non sono io!) e un vanitoso “Ma il vanitoso non lo ascolto’, i vanitosi non ascoltano niente altro che le lodi...”. Voto 10. Penso che sia una delle 100 cose da salvare della terra.